Sono passati alle cronache come I nuovi Vespri siciliani, o le Cinque giornate di Sicilia. In verità, nel gennaio del 2012, i giorni di blocco dei trasporti nell’Isola furono più di cinque. Da Palermo a Catania, dagli imbarcaderi allo stretto di Messina fino ai centri agricoli della provincia di Ragusa, il movimento Forza d’Urto – composto dagli autotrasportatori dell’Aias, dai pescatori e dai Forconi – riuscì a paralizzare un’intera regione. Adesso, però, il pubblico ministero della Procura di Catania Giuseppe Sturiale ha chiuso le indagini che vedono indagati i leader di quella protesta: Giuseppe Richichi, presidente dell’Associazione Imprese Autotrasportatori Siciliani; Mariano Ferro, leader del movimento dei Forconi; Carmelo Micalizzi, presidente della Federazione Armatori Siciliani e Fabio Micalizzi, numero uno dell’Associazione Pescatori Marittimi Siciliani. Cioè materialmente i soggetti che, all’inizio dei dieci giorni di mobilitazione, avevano chiesto le autorizzazioni alla Questura di Catania.
Per Ferro e Richichi l’accusa è di aver trasgredito le norme sull’organizzazione di riunioni pubbliche, in alcuni casi non comunicando i luoghi dove si sarebbero tenuti i presidi, in altri, nonostante avessero avuto l’autorizzazione, non rispettando i divieti e le prescrizioni imposte dalla questura. Causando così, disagi e rallentamenti alla circolazione. Per Carmelo e Fabio Micalizzi l’accusa è più grave: aver costretto, nel presidio all’interno del porto di Catania, gli autotrasportatori a fermarsi. Una forma di violenza privata, aggravata dal fatto che a compiere l’azione è stato un gruppo di circa 30 persone.
«Stanno cercando il modo di incastrarci – è il commento del leader dei Forconi, Mariano Ferro – mi sembra strano che l’avviso di conclusioni delle indagini arrivi adesso, dopo due anni e mezzo. Forse sentono che la situazione torna a essere frizzante, si aspettano un autunno caldo». Per il capo degli autotrasportatori, Richichi, non è neanche una novità. «Mi contestano le stesse cose da una vita – replica – per i blocchi del 2000 e del 2007 sono stato denunciato e sono finito anche in carcere, ma vedo che tutto quello che avevamo previsto e per cui lottavamo si è avverato: non abbiamo più una continuità territoriale, i nostri prodotti agricoli sono fuori mercato e i camionisti non sanno come attraversare Messina dopo il blocco del sindaco Renato Accorinti. La salute è prioritaria, d’accordo, ma così le merci restano ferme».
Il pubblico ministero elenca le disposizioni violate tra il 16 e il 25 gennaio: il divieto di creare intralci alla circolazione, l’obbligo di non ostruire gli accessi all’area portuale, ai caselli autostradali e a qualsiasi altro luogo di libero transito, l’obbligo di attenersi a ogni ulteriore prescrizione impartita dal responsabile delle forze dell’ordine. Misure trasgredite – sottolinea il pm – al casello autostradale di San Gregorio, agli svincoli di Giarre e Acireale e al porto etneo. Non erano proprio stati indicati nella comunicazione alla questura, invece, i presidi sulla statale Catania-Gela in contrada Cuticchi a Ramacca, sulla statale 514 all’altezza di Vizzini Scalo, sulla 288 a Castel di Iudica e in piazza San Sebastiano a Scordia. La protesta sarebbe dovuta durare cinque giorni, ma, visti i risultati e sull’onda di una mobilitazione che portò in strada centinaia di persone, nonostante molte critiche, fu annunciata una proroga che durò fino a 25 gennaio. «Ma senza aver dato il preavviso secondo le modalità e i tempi previsti dalla legge», scrive il pm. Che sottolinea i pesanti disagi arrecati, già denunciati in quei giorni da diversi imprenditori: dall’interruzione del transito dei veicoli ai caselli di San Gregorio ai problemi di approvvigionamento del carburante e delle derrate alimentari.
«Nessuno sceglie il mestiere del protestante, in realtà vorremmo fare ben altro», commenta Mariano Ferro. Per lui è la seconda indagine. La prima volta fu denunciato a causa dei tafferugli all’esterno del teatro Abc di Catania, durante la campagna elettorale per le ultime elezioni regionali. In quel caso Ferro, in corsa per la presidenza della Regione, pretendeva di partecipare al dibattito con gli altri candidati. «Ma sono stato assolto perché il fatto non costituiva reato – replica – Adesso mi aspetto di ricevere a breve la richiesta di rinvio a giudizio, ma sono sereno: dirò al giudice che sono pronto a rifare quello che ho fatto».
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