«Gli devi dire se mi dà ottocento euro». A pronunciare queste parole, secondo Paolo De Santo, sarebbe stata a inizio 2018 Lea Cataldo. I due sono legati alla lontana da una parentela acquisita. L’estate scorsa, De Santo è stato condannato a due per favoreggiamento nel processo con rito abbreviato scaturito dall’operazione Mafia Bet. In mano agli inquirenti finirono una serie di intercettazioni da cui si evinceva che l’uomo avesse fatto da tramite per fare arrivare a Cataldo somme di denaro. Soldi che, secondo la procura, venivano pagati come forma di rispetto nei confronti del marito Franco Luppino, boss all’epoca detenuto. Lea Cataldo è tra i beneficiari del reddito di cittadinanza che sono stati denunciati dalla guardia di finanza in provincia di Trapani.
La donna, 58 anni, è accusata di avere omesso i precedenti penali suoi e del marito. Se infatti l’appartenenza di Luppino alla cosca di Campobello di Mazara è acclarata, anche Cataldo ha alle spalle una condanna a due anni per favoreggiamento con l’aggravante di avere agevolato Cosa nostra. Ma Cataldo non è l’unica moglie di mafiosi che era riuscita a ottenere il sussidio economico varato nel 2019 dal governo nazionale. Le fiamme gialle hanno beccato anche le coniugi di Maurizio Arimondi e Matteo Tamburello.
Il primo, nel 2016, ha visto diventare definitiva la condanna a dieci anni di reclusione in un processo sui fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, il capomafia latitante di Castelvetrano. Il secondo, invece, rischia una pena a vent’anni. A chiederla è la procura di Palermo che lo ritiene figura di primo piano nella famiglia mafiosa di Mazara del Vallo. Tamburello avrebbe tentato di riorganizzare il gruppo, a partire dal 2015, subito dopo essere uscito dal carcere dove era stato per quasi dieci anni in seguito a un blitz di metà anni Duemila. In quell’occasione, a finire in manette era stato anche il padre.
Hanno volti imprenditoriali, ma comunque al servizio di Cosa nostra Salvatore Angelo e Vito Russo. Anche loro sono risultati – stavolta senza intermediazioni da parte di familiari – tra i percettori del reddito di cittadinanza. Angelo, conosciuto come u Cagnulazzu, è stato già condannato per mafia. L’uomo, originario di Salemi, è ritenuto legato alla locale consorteria criminale e, per questo, ha subito una confisca di beni milionaria. Nella fedina penale del marsalese Vito Russo c’è, invece, una condanna a sette anni. Sia per Angelo che per Russo l’esperienza da beneficiario del sussidio è relativamente recente. Meno di diecimila euro in due, a dimostrazione di come la presenza dei loro nomi nei registri dell’Inps era difficile che passasse inosservata per molto tempo.
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