Il ricorso al Tar era stato rigettato, ma sei dei nove locali di Palermo hanno deciso comunque di continuare la loro battaglia contro le decisioni dell’amministrazione comunale. E hanno avuto la meglio. Oggetto del contendere è il regolamento sulla cosiddetta movida. I locali che hanno deciso di andare avanti nonostante il rigetto del Tar sono stati: il Siciliano, Jackass, Qvivi, Cavù, Ombelico del mondo e Basquiat che hanno deciso di presentare il ricorso al Cga, che è stato discusso l’altro ieri ed è stato accolto.
Il regolamento sulla movida è stato approvato lo scorso novembre dal consiglio comunale, e poco dopo il Sindaco di Palermo emanò un’ordinanza prevedendo sanzioni aggiuntive, ossia cinque giorni di chiusura alla prima violazione. Il Cga avrebbe quindi così bloccato il regolamento e anche la direttiva: « Da questo momento non ci saranno sanzioni – dice l’avvocato dei gestori dei pub Giovanni Puntarello – e i pub potranno mettere musica quando vogliono.
Il ricorso verteva su diversi aspetti del regolamento e dell’ordinanza: la chiusura di 5 giorni non troverebbe riscontro nelle leggi e quindi sarebbe stata decisa in modo arbitrario dal Comune, che invece può solo limitarsi ad applicare le sanzioni esistenti; poca chiarezza nella rilevazione delle emissioni sonore; mancanza di competenze specifiche della Polizia municipale e nessuna specificazione sugli apparecchi usati per la rilevazione delle emissioni sonore».
«Aspettiamo di leggere il dispositivo, ma la pronuncia odierna del Cga sconfessa – dice Marcello Robotti, Presidente di Vivo Civile, associazione che ha sostenuto i pub nella battaglia legale – una linea unilaterale che coinvolge non più soltanto l’amministrazione ma, con l’approvazione in consiglio, anche la maggioranza che la sostiene e che, nonostante i ripetuti appelli delle associazioni e di parte delle opposizioni in consiglio, ha ostinatamente proseguito per la propria strada con il rischio di trovarsi davanti, qualora venisse confermata la nullità delle sanzioni, decine di cause di risarcimento danni».
«Dopo anni di auspici vani e puntualmente risolti nelle aule di tribunale, – dice Antonio Ferrante, presidente onorario di Vivo Civile – crediamo sia arrivato il momento di chiedere con fermezza che l’amministrazione apra un vero dibattito con chi ha dimostrato responsabilità dentro e fuori le istituzioni perché non è più possibile vivere in una città in cui pagano sempre quei cittadini che chiedono regole chiare per poter riposare e lavorare e invece si trovano, paradossalmente, ad essere i primi ad essere vessati nonostante le ripetute richieste di dialogo e collaborazione».
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