«Vedete quella dirigente della polizia? Anche lei ha seguito i corsi di formazione da noi». I 28 lavoratori del Cerisdi in attesa del licenziamento collettivo e della messa in liquidazione dell’ente hanno lasciato le sale del castello Utveggio per passare alla protesta di piazza. Una storia lunga e travagliata quella del centro di alta formazione voluto dalla Regione, che nel 1984 gli ha affidato la struttura che domina monte Pellegrino. Dopo anni di fasti – che hanno portato l’ente, attivo anche nel campo della ricerca e della consulenza, a fortunate collaborazioni in tutto il bacino del Mediterraneo – il lento declino accompagnato dalla crisi economica del centro, fino alla resa definitiva del cda, lo scorso venerdì.
I dipendenti, tuttavia, non si rassegnano e hanno deciso di portare la protesta direttamente nelle sedi dei soci del centro che, oltre a dipendere dalla Regione, è supportato da Ircac, Sna, Comune e Ordine dei medici di Palermo, che ogni anno contribuiscono con una quota di 25mila euro. «È impensabile – dice Mimma Calabrò della Fisascat Cisl – che una pubblica amministrazione rimandi indietro milioni di euro di fondi europei. Specie quando ha del personale con lauree e master, capace di fare progetti. E invece lo manda a casa con un gioco a rimpiattino tra debiti e nomine. I soci stanno scappando, l’arrivo del nuovo presidente è sembrato un segno di interesse della Regione e invece non è stato prodotto nulla».
I dipendenti del Cerisdi, che già lo scorso ottobre avevano ricevuto una comunicazione di licenziamento, hanno più volte chiesto le dimissioni di Salvatore Parlagreco, nominato presidente direttamente da Palazzo d’Orleans nel maggio del 2014. «Non mi sembra – continua Calabrò – che qualcuno dei dirigenti abbia rinunciato al proprio compenso. Pare che i loro stipendi siano soltanto congelati al momento».
«Formare gli alti dirigenti a Palermo – spiega David D’Aleo, uno dei dipendenti – era un risparmio per tutti. Adesso la Regione e gli altri enti sono costretti a pagare le trasferte per i corsi alla Bocconi di Milano. Non chiediamo commiserazione, siamo qui per rivendicare vent’anni di attività». Sulla stessa linea di pensiero è anche Enrico Faconti, rsu Cisl. «Non vogliamo prebende o soldi a pioggia, ma solo che una parte dei fondi europei che si perdono o che vengono dati a enti nazionali per svolgere il nostro stesso lavoro venga indirizzata al rilancio del Cerisdi. Al momento ci costringono a stare fermi a girarci i pollici, noi diciamo soltanto: utilizzateci».
«La Regione – aggiunge Giovanna Aiello, dipendente – ci ha anche tolto da tempo la possibilità di autofinanziarci utilizzando la sede per ricevimenti nuziali, una delle nostre fonti alternative di sovvenzionamento insieme ai convegni. Ogni centesimo di quello che abbiamo incassato è sempre stato rendicontato e non abbiamo mai ricevuto nessuna obiezione, nemmeno dalla Corte dei conti». L’ultimo capitolo del Cerisdi potrebbe essere scritto mercoledì, quando è prevista la firma dal notaio per la definitiva messa in liquidazione.
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