Quello che segue è il testo di una lettera aperta inviata nel 2003 da un gruppo di docenti e intellettuali al Bollettino d’Ateneo per chiedere al Sindaco di Catania di intitolare via Firenze (su cui si apre l’ingresso principale del Liceo Cutelli) al prof. Carmelo Salanitro. Non se n’è più saputo niente. E’ vero, alcune cose sono cambiate da allora. Per esempio, il Liceo dove Salanitro insegnò gli dedica ogni anno un concorso di idee e altri eventi ed è stato dato il suo nome all’Istituto Siciliano per la Storia dell’Italia Contemporanea e all’aula consiliare della Provincia. Eppure si ha la sensazione che Catania trascuri un suo figlio così illustre. Il Comune si è infatti limitato ad intestargli una piccola via di periferia. Se non si è stati alunni del Cutelli, difficilmente si conosce la storia di quest’uomo coraggioso e anticonformista ucciso nel campo di concentramento di Mathausen per le sue idee. Che senso ha celebrare ogni 27 gennaio la giornata della memoria quando per tutto il resto dell’anno si dimenticano le vittime dell’Olocausto e della persecuzione nazi-fascista?
Caro direttore,
il testo che ti inviamo anticipa i contenuti di una lettera al Sindaco di Catania nella quale diversi storici e colleghi dell’ateneo, assieme a insegnanti ed ex alunni del Liceo Mario Cutelli, espongono le motivazioni della richiesta di intitolare al professor Carmelo Salanitro la via su cui si apre l’ingresso principale del liceo catanese. Tra i firmatari figura anche l’ex deportato a Mauthausen Nunzio Di Francesco. Ci è parso opportuno segnalare questa iniziativa ai lettori del “Bollettino d’Ateneo” perché, oltre alla richiesta dell’intitolazione della strada di competenza dell’amministrazione comunale, si avanza la proposta di un convegno periodico sul tema dei diritti umani, da svolgersi con il concorso della nostra università. Approfittiamo dell’ospitalità del “Bollettino d’Ateneo” per informare tutti i colleghi interessati che, prima di inoltrarla ufficialmente al destinatario, la lettera rimarrà sino alla fine di settembre presso le principali librerie catanesi a disposizione di quanti volessero sottoscriverla. Giuseppe Barone, Mauro Corsaro, Giuseppe Giarrizzo, Luciano Granozzi, Gino Longhitano, Salvatore Lupo, Rosario Mangiameli, Nino Recupero, Alfio Signorelli.
Ci pare urgente e opportuno dedicare alla memoria del prof. Carmelo Salanitro un luogo importante e visibile della Città. Si tratta infatti di onorare un uomo che ha testimoniato per la democrazia e per la pace, pagando per il suo anticonformismo un prezzo iniquo di isolamento e di persecuzione, fino al carcere fascista e al sacrificio a Mauthausen. Sorprende l’episodica attenzione che Catania ha dedicato a questo suo figlio. Dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, egli ha avuto soltanto una lapide nel Liceo Cutelli, dove insegnò e dove su indicazione del preside di allora fu catturato dall’OVRA, la polizia politica del fascismo. Attorno a questa lapide nessuna continuità di commemorazioni, nessun rito della memoria. Perché? Forse perché l’anticonformismo di Carmelo Salanitro è ancora corrosivo, attuale, scandaloso. Intellettuale cattolico, partecipe della esperienza del popolarismo sturziano nella nativa Adrano, Salanitro fu un antifascista coerente, destinato a sentirsi ancora più isolato nel clima che si instaurò in seguito alla stipula del Concordato tra Chiesa cattolica e Stato. Sembrò allora che nessuno spazio restasse aperto a chi non si schierava coi vincitori; non solo quello politico, occupato tutto dal fascismo, ma neanche quello religioso, morale.
L’idea di costruire una identità italiana cattolicofascista, così ben accolta dalla parte ufficiale della chiesa catanese di allora, che ne fu tra le più zelanti sostenitrici, finì per annullare ogni possibilità di rifugio. Salanitro continuò a insegnare, professore di latino e greco, ad Acireale, a Caltagirone, infine al Liceo Cutelli di Catania. Tollerato, protetto dalla stima che lo circondava e dalla considerazione dei pochi amici, fu più volte pressato perché aderisse al fascismo. In una di queste occasioni, nel 1932, ebbe a scrivere sul suo diario: «È strano che un governo e un partito che si dicono fortissimi e hanno tutti i poteri legali e illegali nelle loro mani, piatiscano la carità di una dichiarazione di adesione al Partito fascista. Se mai dovremmo essere quelli che ne stiamo fuori a mendicare l’onore di esservi ammessi». Si tratta di una lucida analisi di ciò che comportava il totalitarismo, ovvero della necessità di imporre in ogni modo possibile un unico comportamento, un unico pensiero. Per ora erano le blandizie, i mezzi illegali e brutali sarebbero venuti poco dopo.
Salanitro ebbe soprattutto il merito di comprendere quanto fosse pericolosa la vocazione bellicista del fascismo, quel mito della guerra e della violenza destinato a produrre gli effetti più disastrosi. Testimonianza di questa attenzione è Homerica, il saggio che nel 1929 dedicò all’Iliade. Il poema per lui è da interpretare come aspirazione alla pace, espressione del sentimento del dolore. Questa sottolineatura del sentimento del dolore si proponeva di rimettere in piedi una realtà che la retorica aveva stravolto. Mentre negli altri paesi europei l’avversione alla guerra era discorso corrente, in Italia essa veniva censurata perché l’esaltazione della violenza era uno dei caratteri originari del regime; la mitologia dell’esperienza della grande guerra faceva apparire ‘bello’ il sacrificio, proponeva la violenza della guerra come un valore fondamentale della civiltà. Invece Salanitro mette l’accento sul fatto che la guerra produce lutto e dolore e una forte aspirazione alla pace.
Era un modo per intavolare un dialogo con le giovani generazioni, per tentare di prospettare punti di vista differenti da quelli dominanti. Chi dei nostri genitori e maestri lo ebbe come insegnante ricorda una riflessione offerta attraverso un confronto alto con i classici, come nell’altro saggio Attorno alle Georgiche virgiliane, scritto nel 1933, dove rivendicò la libertà dell’insegnamento, l’indipendenza della scuola dal potere, «non asservita a interessi e a scopi particolari». Il saggio contiene tra le righe un continuo richiamo all’attualità e in particolare Salanitro propone il ribaltamento del mito della romanità cristiana e imperiale a una cittadinanza che invece di questo si nutre, che questo mito assorbe.
E tuttavia non bastava: la politica guerresca del fascismo, dalla ‘pacificazione’ della Libia, alla conquista dell’Etiopia, all’intervento in Spagna, all’ingresso nella seconda guerra mondiale, richiedeva un impegno diverso, più diretto, e quindi più pericoloso. Solo com’era, il professor Salanitro escogitò un sistema ingenuo e artigianale per farsi sentire: si mise a scrivere bigliettini contro la guerra, piccoli messaggi da infilare nelle buche della posta, nelle tasche dei cappotti. Fu il preside della sua scuola, il Liceo classico Cutelli di Catania, a scoprirlo e a denunciarlo. Così comincia la via dolorosa di Carmelo Salanitro, portato davanti al tribunale speciale e condannato a 18 anni di carcere nel 1940. In carcere lo coglie il 25 luglio il crollo del fascismo, ma nessuno lo fa uscire; in carcere lo coglie l’8 settembre, ma nessuno lo fa uscire, anzi lo si consegna ai tedeschi. Raramente una tragedia si rappresenta con stile burocratico altrettanto sciatto, di chi non vuole prendersi alcuna responsabilità. Proprio questo sembra governare i comportamenti di tutti i persecutori, meglio i carnefici, di Salanitro: mediocri burocrati, che carnefici diventano passo dopo passo nell’ingranaggio del Leviatano che servono. Compresi quelli che incontrerà nel suo peregrinare nell’universo concentrazionario nazista, fino a Mauthausaen. Parlando di questi più terribili carnefici, di uno dei loro capi, Eichmann, una grande filosofa del nostro tempo, Hannah Arendt, ha usato l’espressione «banalità del male». Esecutori conformisti che scansano ogni responsabilità, Salanitro era esattamente l’opposto e per questo era il loro ‘piccolo’ irriducibile nemico.
Ma la sua storia ha una particolarità: incomincia qui, vicino a noi, tra di noi. E ci impedisce di esorcizzare con la distanza tutto quel male attribuito ad altri, alla «teutonica barbarie»; spiegazione consolatoria e assolutrice come tutte le spiegazioni che fanno leva sui caratteri dei popoli, sui loro presunti vizi e non sulla storia, non sulle scelte delle persone in carne ed ossa. Salanitro ci coinvolge nella grande tragedia europea della persecuzione e della deportazione di chi è diverso, di chi è straniero, di chi pensa e dubita. Per questo la sua figura fu rimossa così presto. Quando si seppe della sua morte, il 24 aprile 1945 a Mauthausen, poco dopo l’incontro col partigiano Nunzio Di Francesco nell’infermeria del campo, Catania ne fu commossa ma per poco. Perfino il preside che lo aveva denunciato era ancora in servizio. Non era solo questo: il blocco di potere che si coagulò nella Catania del dopoguerra era ancora troppo legato al recente passato.
Solo la pietà o la determinazione di alcuni allievi, tra questi il prof. Cristoforo Cosentini, hanno episodicamente sottratto la figura di Salanitro all’oblio. Solo ventitré anni dopo gli fu dedicata una lapide al Cutelli, nel 1996 gli fu dedicato un convegno nella nativa Adrano. La nostra proposta, dunque, è di recuperare questa memoria come qualcosa di cui questa città ha oggi più che mai bisogno. Potrebbero essergli dedicati alcuni luoghi all’interno del Liceo Cutelli e una attività culturale che coinvolga studenti e docenti, come per esempio un convegno sul tema dei diritti umani, da svolgere periodicamente, possibilmente con il concorso dell’Università. Ma a Lei, e alla Sua Giunta, chiediamo innanzi tutto che un luogo particolarmente significativo della città porti il nome di Carmelo Salanitro. La scelta più appropriata ci pare, Signor Sindaco, che via Firenze, su cui si apre l’ingresso principale del Liceo Mario Cutelli, possa diventare via Salanitro.
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