C’era, a Catania, una volta un giardino

Ad oggi non risultano presenti negli archivi rappresentazioni della Villa dei Biscari, quella del Laberinto, che divenne, nel 1855, la parte principale del giardino pubblico di Catania, meglio conosciuta come Villa Bellini. Alla fine del ‘600, Francesco Maria Scionti, sacerdote maestro cappellano della cattedrale, aveva costruito una casina nella sua proprietà e, forse, creato un laberinto con piante di agrumi dalle forme acconciate, da cui il giardino prese il nome. Nel 1719 la proprietà ormai in stato di abbandono, venne acquistata da Vincenzo Paternò Castello, principe di Biscari. Il figlio Ignazio, che la ereditò, disegnò al suo interno un labirinto vegetale, formato da doppi filari di cipressi cui aggiunse un dedalo di piccole grotte e lunghi e intricati corridoi sotterranei che si sviluppavano sotto la casina grande costruita per la villeggiatura. 

Poco rimane di queste costruzioni. La villa, successivamente acquisita dal Comune, fu, negli anni ’20 del secolo scorso, ridisegnata, mentre parte della casina fu asportata per far posto al piazzale col chiosco della musica, ciò che sopravvisse fu adibito a magazzino. Il principe Ignazio costruì, inoltre, un acquedotto che portava al giardino l’acqua dal pozzo fatto scavare a Cifali, per irrigare l’unico giardino catanese aperto al pubblico, adornato con vasche ornamentali e impreziosito con un orto botanico ricco di specie rare. Il nobile, collezionista appassionato, raccoglieva piante oltre a monete e conchiglie e costruiva, con generosità di mezzi, il suo giardino privato «per dame incipriate e cavalieri dallo spadino al fianco, per nei e cicisbei». 

Quello «strano dedalo di cipressi», per quanto occupasse solo un quarto della superficie del giardino, dette il nome all’intera area. Il labirinto è una delle tante figure del giardino geometrico alla francese che nel Settecento, contrapponendosi al modello inglese, si ispirava ad un’Arcadia secondo cui l’universo si rivelava come giardino ricreato dall’uomo. Altro non è che il periodo in cui inizia la moda architettonica di ospitare les quatre parts du monde en un jardin ma è soprattutto l’esoterismo massonico che, con il giardino filosofico siciliano, predilige gli artificiosi scenari dell’Arcadia giardiniera: come Teseo che, dopo l’uccisione del Minotauro, trova la via d’uscita dal labirinto, così l’uomo, mediante il percorso tortuoso del labirinto (di verzura o di muratura) della vita, giunge alla conoscenza superiore. 

Ignazio Paternò Castello, V principe di Biscari, era, inoltre, uno dei più antichi massoni della Sicilia che, nel 1780, rappresentava la loggia riformata dell’Ardore di Catania nel Capitolo Prefetturale dell’Aquila di Napoli e poneva in risalto gli scopi filantropici della massoneria. La casa dei Biscari, non a caso, fu meta di viaggiatori della stessa fede: dal futuro vescovo di Seeland, Friedrich Münter a von Riedesel, Brydone, Swinburne, Bartels ed altri che celebrarono le doti di cultura, illuminato mecenatismo, filantropismo, grande generosità e ospitalità di Ignazio, elogiandolo inoltre come archeologo appassionato e conservatore delle antichità della sua città e del Val di Noto. 

Ci piace immaginare che «sotto l’edificio, scavando nelle viscere della collina, il Principe avesse fatto costruire un dedalo di piccole gallerie, collegate fra di loro, ortogonali, rincalzate da pietre spugnose, ornate con piante esotiche e illuminate da tenui luci filtranti dall’alto con lo scopo di meravigliare e divertire gli ospiti».

Giusy Belfiore

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