Berlusconi sogna i fasti del 61 a zero di 17 anni fa, Salvini vuole cancellare definitivamente le acredini con il Sud e Meloni spera di trovarsi un Paese più di destra che di centro. A meno di quaranta giorni dal voto per le Politiche, la coalizione formata da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia – ai quali si è aggiunto in corso d’opera Noi con l’Italia – è consapevole di avere l’opportunità di tornare al governo nazionale. A dirlo sono i sondaggi che, per quanto imperfetti e istigatori di riti scaramantici, hanno l’effetto di rafforzare l’unione tra i partiti del centrodestra. Tuttavia, per quanto sia comune la consapevolezza che almeno per il momento stare vicini convenga a tutti, sarebbe ingenuo pensare che in questi giorni la serenità regni trasversalmente. Non solo per i principi di dissidio tra i vertici – come nel caso del botta e risposta a distanza tra Berlusconi e Salvini sul tema pensioni – ma anche per come la base ha preso le scelte dei candidati da inserire nei listini bloccati e nei collegi uninominali. E se da una parte era impensabile pensare che non ci sarebbero stati scontenti, non mancano le situazioni delicate che potrebbero condizionare in negativo la campagna elettorale. Con gli esclusi che potrebbero quantomeno fare venire meno il proprio impegno nella ricerca del consenso.
Un esempio arriva da Trapani, dove il senatore uscente Antonio D’Alì ha annunciato ancora prima della consegna dei nomi in corte d’appello che non sarebbe stato della partita. Al forzista, che già a fine novembre aveva rassegnato le dimissioni da coordinatore provinciale di Forza Italia dopo l’esclusione di un suo uomo dalla squadra di governo decisa da Nello Musumeci, era stato proposto un posto alle Politiche nell’uninominale. Mentre non era chiaro se l’offerta riguardasse anche il paracadute nei listini bloccati. «Non essendo stata convocata alcuna riunione del partito di Forza Italia in Sicilia per le candidature apprendo da notizie di stampa della definitiva composizione di listini bloccati di Forza Italia, che mortificano la Sicilia e in particolare la provincia di Trapani», ha dichiarato D’Alì, quando la formazione delle rose di nomi era ancora in corso. Per poi consigliare al commissario azzurro Gianfranco Miccichè di «non disporre della candidatura».
Dall’altra parte della Sicilia le cose non vanno meglio. A Messina è scoppiata la polemica dopo che la presidente del consiglio comunale Emilia Barrile è rimasta fuori dai giochi. Una doccia fredda per colei che in città rappresenta il gruppo che fa capo a Francantonio Genovese. «Messina corre il rischio di non avere un proprio rappresentante in Parlamento e questo grazie a scelte piovute dall’alto – dichiara Barrile a MeridioNews -. Sono l’espressione più forte dell’area Genovese, ho preso più voti di tutti gli altri e ammetto che mi aspettavo un esito diverso». Ad alimentare la speranza di una candidatura per Roma era stato anche quanto accaduto in autunno, quando Barrile aveva deciso di fare un passo indietro alle Regionali per lasciare spazio al figlio dell’ex parlamentare Luigi, poi eletto con un boom di preferenze. «In quella occasione ho fatto accettato di farmi da parte, anche in vista delle nazionali. E mi permetto di dire – attacca la consigliera – che se ci fossero state anche in questo caso le preferenze sarei stata sicuramente candidata. Ma, siccome è stata fatta una legge che non le richiede, si è finiti con il candidare ancora una volta le persone vicine alle segreterie». La delusione è ancora in fase di elaborazione. «Se si è incrinata la fiducia verso Genovese? Per adesso diciamo che è diminuita di molto», ammette Barrile. Che poi si aspetta un chiarimento da Miccichè in persona. «Mi ha detto che ci incontreremo presto. Mi auguro che sia prima del voto, perché le persone mi chiedono un orientamento politico e io ho bisogno di dare risposte», conclude la consigliera.
I malumori toccano anche le scelte fatte dalla Lega, che nel risiko degli uninominali – dove le coalizioni devono presentare un candidato condiviso – ha avuto la possibilità di fare tre nomi in Sicilia. Uno è quello di Carmelo Lo Monte, politico di lungo corso che oltre a essere capolista nel collegio plurinominale di Messina per la Camera sarà il candidato nell’uninominale di Enna. Da quelle parti però, secondo alcuni, Lo Monte non avrebbe alcun legame. «Mi chiedo che cosa c’entri con questa provincia – critica Sebastiano Lombardo, che a novembre è stato candidato con l’Udc alle Regionali, dopo una polemica con i vertici siciliani di Forza Italia -. Lo Monte è uno di quei casi di politici che vengono mandati in un collegio solo per logiche di segreteria, tutto ciò è sconfortante».
A Catania, infine, a fare discutere è stata una scelta fatta da Fratelli d’Italia: l’avere lasciato fuori l’avvocato Enrico Trantino, figlio dello storico leader della destra catanese Enzo. All’origine dell’esclusione sembra esserci stata la volontà di tutelare quanto più possibile le chance di Manlio Messina, consigliere comunale etneo scelto all’uninominale a Catania, per fare da capolista al plurinominale di Paternò ed è secondo nel collegio di Acireale proprio dietro a Meloni. Da parte dell’avvocato, tuttavia, c’è la volontà di non fare polemica: «Credevo di potere essere una risorsa ma evidentemente sono state fatte scelte diverse», commenta Trantino a MeridioNews. E quando gli si chiede se nella decisione abbia potuto pesare l’appartenenza a Diventerà bellissima e non a Fdl, chiosa: «Può darsi, ma va bene così. Ho il mio lavoro e continuerò a fare quello serenamente».
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