Centro Amazzone, da paziente oncologica a volontaria «Ero lì per aiutare, ma è a loro che devo la mia serenità»

«Io ho avuto un carcinoma mammario, ecco perché mi ero interessata al Centro. Mi controllavo annualmente effettuando mammografia o recandomi dal senologo, ma dopo venticinque anni è arrivata la notizia che mai avrei voluto ricevere. Ricordo benissimo che lessi sul giornale che il Centro Amazzone stava organizzando dei percorsi botanici e così decisi di andare». Inizia così il racconto di Ghita Messana, ex volontaria del Centro Amazzone. «Lì conobbi Anna Barbera, una delle responsabili assieme a Lina Prosa – prosegue Ghita – In realtà varie vicissitudini personali, una sorella scomparsa per via del cancro al seno, e la mia esperienza di salute, mi avevano portato a incuriosirmi verso questa realtà, tra l’altro giorni prima anche mio marito era venuto a conoscenza del Centro sin dall’inaugurazione della sede di via delle Balate a Palermo. Insomma, decisi senza esitazione di andare a vedere e fu proprio Anna che mi invitò a fare volontariato nella struttura». 

Un percorso fatto di emozioni, di impegno e di dolore quello che per cinque ore alla settimana per dieci anni ha accompagnato Ghita. «All’inizio forse per la mia esperienza di vita mi mostrai titubante, poi mi buttai a capofitto nel progetto ma prima feci un colloquio con una psicologa che mi consigliò di iniziare al reparto di Chemioterapia una volta alla settimana, perché avrei conosciuto situazioni forti e a volte drammatiche, affiancandomi a una ragazza già esperta. Ricordo che feci una ecografia e il mio senologo mi consigliò di recarmi da un altro specialista che aveva acquistato uno ecografo più potente. Decisi di andare e lui, insieme al senologo, si accorse subito che c’era qualcosa che non andava, ma io forse per un segno del destino decisi di anticipare il controlli ad aprile invece che a giugno. In questo caso mi dissero che non avevo niente, ma non mi accorsi che in questo esame mancavano le calcificazioni precedenti. Un amico nostro, all’epoca primario del Civico, mi fece l’ago aspirato e venne fuori il carcinoma. Ricordo che ebbi la diagnosi il lunedì e il mercoledì venni operata. Mi asportarono tutta la massa e oggi eccomi qua. Dopo l’operazione mi sono sottoposta a cinque sedute di chemioterapia e alla radioterapia, ma ce l’ho fatta».

Una malattia che può sconvolgere un equilibrio familiare oppure unire ancor di più, trovando in questo la forza di non arrendersi. «Ricordo che la mattina avevo fatto l’ago aspirato e rimasi ore e ore con l’ansia, in attesa, che terminò non appena il nostro amico medico alle sette di sera bussò alla nostra porta dandomi la conferma. Mio marito forse ha sofferto più di me perché è un tipo ansioso, i miei figli mi controllavano e mi seguivano in ogni istante. Quella sera mio marito aveva fatto l’arrosto e io presi le posate, ma dal dolore non riuscivo a mangiare non ebbi il tempo di dire nulla che mio figlio mi tagliò la carne in silenzio. Per me la mia famiglia è stata davvero importante». Una lotta contro il tempo e contro un male che negli anni ha portato via a Ghita Messana gli affetti più cari: il padre è morto per un cancro ai polmoni, la madre per un cancro che aveva creato diverse metastasi in tutto il corpo e anche la sorella è stata colpita da questa malattia, ma accanto a tanta devastazione il lieto fine per il fratello in vita, oggi ottantunenne e che ha sconfitto un linfoma.

Una malattia subdola, il cancro, che però non ha affondato neanche l’ex volontaria, alla quale ha anzi dato la forza di mettersi in gioco per gli altri e l’ha spinta a spendere gran parte del suo tempo al fianco dei malati oncologici. «Noi stavamo nelle stanze delle donne nel reparto oncologico del Civico – racconta -, perché gli uomini erano più restii a parlare. Con le pazienti invece entravamo facilmente in contatto anche se non parlavano direttamente della malattia. Condividevamo interessi come potevano essere ad esempio le ricette, spesso erano loro che riuscivano a regalare a noi un sorriso». 

L’impegno del gruppo di volontari non si svolgeva solo all’interno delle stanze ma anche lungo i corridoi, dove spesso sostavano i familiari in attesa della fine della terapia. «Vedere i volti dei familiari che attendevano i loro cari – ricorda la donna – soprattutto quando questi erano molto giovani, era davvero straziante. Nella mia esperienza ho visto tante persone, soprattutto donne al di sotto dei quarant’anni affette dal cancro, alcune madri e con un peso sicuramente enorme dettato dall’incertezza del futuro. Ma devo dire che tutti, pazienti e familiari, hanno dato la forza anche a noi volontarie, era uno scambio reciproco. Raramente ho visto donne piangere, molte di loro avevano una forza straordinaria. Ricordo Laura, con tre figli, un giorno me li presentò, con molti di loro nel tempo si creava un rapporto familiare».

Storie di vita e di sofferenze non sempre dagli esiti positivi. «Quando peggioravano avevano la fortuna di andare all’hospice – continua Messana -,  ma io andavo ugualmente a trovarli. Ricordo che un giorno ero andata a trovare Grazia, una ragazza palermitana, e lei non appena mi vide mi gettò le braccia al collo e mi disse: “Ghita il miracolo non c’è stato“. Aveva trentaquattro anni ed era sposata ma senza figli. Accanto a lei c’era una suora che recitava le preghiere, io capii che la situazione era drammatica e due o tre giorni dopo infatti morì. Poter parlare con i familiari per me è stato fondamentale, aiutavo loro e forse allo stesso tempo trovavo la serenità». Al giorno d’oggi si parla di quanto sia importante la prevenzione, attraverso la quale spesso è possibile debellare il male prima che diventi definitivo.

«La prevenzione è utile – continua – solo se la tempistica delle visite e delle prenotazioni avviene in tempi brevi. La prevenzione si fa dai 50 anni in su quando sono le strutture ospedaliere che invitano ai controlli, ma per le fasce d’età inferiori non credo ci sia un’attenzione particolare. Ritengo comunque che il fattore ereditario c’è sempre, e io ne sono una prova, a cui si unisce anche ciò che respiriamo e mangiamo. Insomma, una serie di concause che in questi anni di sicuro hanno portato a far aumentare il numero di pazienti affetti dal cancro». Il Centro Amazzone ha avuto sempre al suo interno un gruppo di volontari insieme alla presenza di medici del reparto oncologico che offrono il loro servizio. Insomma, una squadra al fianco delle donne affette dal cancro. «Il Centro Amazzone continua a essere un punto di riferimento per molte donne – conclude Messana – e fortunatamente riesce a sopravvivere nonostante le difficoltà burocratiche ed economiche. Io lo consiglio a tutte coloro che si trovano ad affrontare inaspettatamente questa malattia. Io ho trovato la forza di reagire e invito tutte le donne ma anche gli uomini a non abbattersi e a lottare».

Ambra Drago

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