«C’è l’esigenza di intervenire massicciamente». L’affermazione, con tanto di avverbio che cade a fagiolo, fa parte della relazione che accompagna il ddl di riforma, a firma Forza Italia e Pd, del settore delle cave minerarie. Il testo, depositato l’anno scorso e da qualche settimana all’esame della commissione Attività produttive, punta a modificare la legge approvata oltre quarant’anni fa, così da fornire «un quadro normativo di riferimento aderente alle nuove esigenze di sviluppo». Per farlo i deputati Alfio Papale, Tommaso Calderone, Mario Caputo, Baldo Gucciardi e Giuseppe Arancio hanno presentato meno di una ventina di articoli che vanno a toccare alcuni punti cardine della legge, ma non tutti.
Quello delle cave è un comparto con centinaia di milioni di fatturato. In Sicilia sono attualmente 442 i siti autorizzati per il prelievo di materiali destinati perlopiù all’edilizia, mentre 245 sono quelli dismessi o con i nulla osta scaduti. Tra questi ultimi non sono pochi quelli che da anni attendono le bonifiche. Stando all’ultimo rapporto di Legambiente – presentato con la collaborazione di Fassa Bortolo, l‘azienda che proprio in Sicilia è stata protagonista di un’intricata storia ad Agira -, in Sicilia si producono annualmente oltre due milioni di metri cubi di pietra calcarea, 675mila metri cubi di basalto, mentre ammonta a oltre 200mila metri cubi la produzione di pietre ornamentali, tra cui la pietra lavica. Seguono sabbia e ghiaia, e infine l’argilla con 181mila metri cubi.
«A fronte di quantità estratte così rilevanti i canoni di concessione pagati da chi cava sono a dir poco inadeguati», si legge nel rapporto in riferimento a tutta l’Italia. In Sicilia, i canoni sono stati introdotti relativamente di recente: nel 2013, il governo Crocetta inserì l’onere per i titolari di concessione di pagare alla Regione e ai Comuni nel cui territorio si trovava la cava una somma che tenesse conto non solo della quantità di materiale estratto ma anche della tipologia e, di conseguenza, del suo valore economico. Due anni dopo, la norma è stata rettificata prevedendo una quantificazione del canone esclusivamente in base alla superfice e al volume della cava. La decisione portò alla protesta dei gestori di cave meno pregiate, che criticavano per esempio i vantaggi per i produttori di marmo capaci di avere maggiori profitti a fronte di canoni ridotti per le dimensioni contenute dei siti di estrazione. Sulla disputa, nel 2019, si è pronunciato il Tar dando ragione alla Regione. Tuttavia, stando a quanto appreso da MeridioNews, a tentare di ripristinare il primo metodo di calcolo potrebbe essere Attiva Sicilia, con un emendamento ad hoc da presentare in commissione. «Abbiamo una proposta», dichiara a MeridioNews la deputata Angela Foti. Il ddl di Forza Italia e Pd, invecemo, non tocca il tema dei canoni. In ogni caso, come sottolineato da Legambiente, «le entrate degli enti pubblici dovute
all’applicazione dei canoni sono ridicole in confronto ai guadagni del settore».
Papale e colleghi propongono invece di estendere da 15 a 20 anni la durata delle concessioni. «Allungare i tempi delle concessioni e prevedere anche delle proroghe è un tema che va ponderato con attenzione – continua Foti -. Bisogna tenere conto degli impatti ambientali di queste attività e di come le condizioni mutino nel corso degli anni». Un punto che invece potrebbe essere messo in discussione in maniera profonda riguarda la possibilità, in vigore già dal 1980, di ottenere concessioni su terreni privati altrui anche senza il consenso dei legittimi proprietari. A riguardo la proposta di Forza Italia e Pd prevede l’introduzione di un canone che il coltivatore della cava deve versare annualmente al proprietario. «Canone o meno, bisogna capire quanto sia giuridicamente sostenibile il principio per cui un privato che voglia mantenere inalterato un’area, debba invece soccombere – commenta la deputata ex cinquestelle – di fronte alle pretese economiche di terzi e senza che l’attività sia funzionale a un superiore interesse pubblico».
Ciò su cui il ddl non interviene è il fenomeno radicato ed esteso dell’abusivismo. Soltanto nella Sicilia orientale, negli ultimi anni, sono state sequestrate oltre 20 cave. A dimostrazione di come si tratti di un mondo permeabile alle illegalità. A effettuare gli interventi è stato sempre il Noe dei carabinieri di Catania. «Abbiamo verificato che in questo settore gravitano anche diverse persone con procedimenti penali», ha affermato il tenente colonnello Michele Cannizzaro, in occasione del rapporto di Legambiente. Le attività del Noe in questi anni hanno portato a scoprire anche ampissimi insediamenti minerari che operavano a livello industriale, totalmente incuranti del fatto di non essere mai stati autorizzati o di avere i nulla osta scaduti. Comportamenti che si sono protratti anche per molti anni, senza che in passato qualcuno intervenisse. Come nel caso di Comiso, dove i carabinieri hanno fermato l’attività di un’impresa che aveva estratto calcare da un’area di 90mila metri quadrati con profondità anche di venti metri. A Mascali, invece, un imprenditore senza più concessione più volte è stato beccato a scavare. Nei mesi scorsi, invece, a Belpasso in una cava abusiva sono stati trovati i mezzi di un’impresa riconducibile a soggetti in passato accostati a Cosa nostra.
Legge regionale alla mano, la vigilanza spetterebbe ai distretti minerari, che fanno capo al dipartimento regionale all’Energia, e alla polizia municipale. Ma la realtà dice che in entrambi i casi la capacità di frenare chi sceglie di avviare i macchinari senza badare alle leggi è parecchio ridotta. «Eppure si tratta di attività industriali in piena regola, con mezzi e macchinari che spesso lavorano il materiale cavato», ha detto il tenente colonnello del Noe. A giocare a sfavore è poi la normativa in materia di sanzioni: se da un lato la legge regionale prevede una multa di 40 milioni di lire (con il nuovo ddl si passerebbe a 80mila euro, ndr), da un punto di vista penale soltanto di recente l’estrazione abusiva di materiale da cava è stato inquadrato come un caso di inquinamento ambientale. Al contempo i sequestri effettuati dal Noe sono stati possibili perché inquadrati come episodi di distruzione o deturpamento di bellezze naturali. Ciò grazie al fatto che la Sicilia per larga parte è interessato da vincoli e tutele paesaggistiche.
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