Regolamento di conti gestito da un piccolo gruppo criminale, ma motivato con questioni amorose: questa l’ipotesi al vaglio della Procura di Catania in merito alla sparatoria dello scorso 28 agosto in Viale Medaglie d’oro, in cui perse la vita il ventunenne incensurato Luigi Giustolisi. Furono feriti Michele Di Mauro, trentenne estraneo ai fatti, e Michele Beninato, di ventitré anni, che secondo le indagini era l’unico obiettivo dei sicari. Nonostante le modalità dell’operazione avessero fatto dapprima ipotizzare un delitto di stampo mafioso, e sebbene l’obiettivo dell’agguato non fosse estraneo all’ambiente, le indagini hanno scartato questo tipo di movente. «Pare che all’interno di una organizzazione ci fosse una squadretta cui spettava gestire piccoli incarichi, furti, rapine e spaccio in una zona limitata della città – spiega il Procuratore Capo, Vincenzo D’Agata –. La sparatoria di Viale Medaglie d’Oro però non sembra ricollegarsi a fatti mafiosi, piuttosto ad un regolamento di conti interno. Si pensa relativo a questioni di donne e tradimenti».
Sembra sia stata scartata anche l’ipotesi di una vendetta personale: la sera prima della sparatoria, Beninato, secondo le indagini, avrebbe fermato un diciottenne catanese mentre era a bordo della sua minicar in via Capo Passero e lo avrebbe costretto a consegnargli cellulare e portafoglio, facendosi accompagnare in Viale Mario Rapisardi a ritirare alcune dosi di cocaina. Gli inquirenti tuttavia escludono qualsiasi relazione tra i fatti del giorno prima e la sparatoria, e non credono all’ipotesi di una ritorsione ad opera della famiglia del giovane sequestrato. Contro Beninato è stato comunque emesso un provvedimento di fermo per furto e sequestro di persona, che gli è stato notificato mentre era ricoverato all’ospedale Garibaldi nuovo di Catania, a causa delle ferite riportate durante l’agguato in via Medaglie d’oro. Successivamente il giovane è stato condotto dalle forze dell’ordine al carcere di piazza Lanza.
Quello di viale delle Medaglie d’oro è, in ogni caso, l’ennesimo fatto di sangue in cui a farne le spese non sono i veri obbiettivi dei sicari. È il caso di Luigi Giustolisi, morto a ventun anni perché si trovava in scooter con Beninato. Ma anche di Michele Di Mauro, inseguito e ferito mentre rientrava a casa dopo una serata con gli amici: sua unica colpa quella di essere stato scambiato per Beninato che invece, colpito ad una gamba durante la sparatoria, era riuscito a mettersi in salvo rifugiandosi in un’abitazione cui aveva insistentemente bussato per chiedere aiuto.
Una dinamica che, pur con tutte le specificità del caso, richiama alla mente l’episodio per cui, meno di due mesi fa, rimase gravemente ferita Laura Salafia, studentessa colpita per errore da una pallottola vagante alla nuca in Piazza Dante, davanti all’Università. Anche in quel caso, secondo gli inquirenti, si trattò di un regolamento di conti relativo a questioni amorose e fu subito esclusa la pista mafiosa.
Catania, dunque, come un palcoscenico su cui si continua a replicare “Cavalleria Rusticana”: si spara per difendere l’onore. Ma è possibile che singoli o piccoli gruppi criminali agiscano da cani sciolti facendosi giustizia da soli, fuori della cerchia della criminalità organizzata? La mafia non ha più polso sui figli minori? «All’interno di una famiglia – afferma il dott. D’Agata – esistono piccoli settori. Il gruppo garantisce un compenso minimo al quale si aggiungono poi le entrate ricavate da “piccoli lavoretti”, frutto di iniziative personali di alcuni soggetti della famiglia. Non è affatto un caso anomalo. È sempre stato così, purché questi soggetti e le piccole squadrette di quartiere da loro gestite non interferiscano con i grandi traffici della famiglia. È indubbio che, nel caso di un’operazione di “pulizia” interna alla famiglia stessa, le questioni vengono risolte tendendo conto dei superiori».
Indagini che dunque scartano il movente mafioso anche se d’altra parte, sui fatti di sangue susseguitesi in questi mesi, il Procuratore non esclude che alcuni possano aver coinvolto soggetti appartenenti allo stesso gruppo criminale. Il fatto certo, comunque, è che a Catania da qualche tempo si continua a sparare. Spesso alla luce del giorno.
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