Cattaneo, tra metodo scientifico e Stamina «La scienza non è nostra, è dei cittadini»

«Ogni mattina comincia come se stessi puntando alla luna». Un mantra che Elena Cattaneo – senatrice a vita, direttrice del laboratorio di Biologia delle cellule staminali e Farmacologia delle malattie neurodegenerative – ripete a se stessa e ai colleghi che varcano la soglia del laboratorio. Ordinario dell’ateneo di Milano e nominata alla prestigiosa carica un anno fa dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per i suoi meriti in campo scientifico, Cattaneo ha tenuto ieri sera una lezione dal titolo «Storie di uomini, geni e staminali» alla Scuola superiore dell’università di Catania. «Sono le parole della mia vita», afferma rivolta agli oltre 500 ospiti del seminario. Un intervento appassionato, che mette in risalto tanto i successi quanto le difficoltà e i fallimenti che costellano il cammino della scienza. Il punto di partenza è una figura, quella di George Otto Gey, scienziato statunitense che negli Anni ’50 portò a termine una ricerca in campo oncologico messa a disposizione dei colleghi gratuitamente. «La scienza non è tua, è dei cittadini», esclama rivolta ai colleghi.

Lo sguardo della senatrice si sposta spesso verso gli studenti. «Chiedete sempre di più a voi stessi» è l’esortazione. E confessa di avere come più grande terrore «perdere opportunità». Altro elemento ricorrente è il metodo scientifico, la sua applicazione, la necessità di verificare costantemente i dati scientifici. «Tutti ormai si sentono esperti di staminali o di vaccini o di terremoti… o di molto altro ancora», commenta amaramente. Il riferimento – prima indiretto, poi esplicito – è al caso Stamina. La verità arriva dopo «chili di prove. Ma non nel tuo cassetto, pubbliche», tuona. «Come non fidarsi della scienza?», chiede. È lo «strumento per aumentare la consapevolezza di quello che l’uomo può fare».

«I ciarlatani non mi preoccupano – dice con schiettezza – sono sempre esistiti. Mi preoccupano le vittime». Il trattamento messo a punto da Davide Vannoni viene definito «una pratica tribale». Poi la professoressa condivide il profilo dell’imbonitore-tipo: «La sua terapia è alternativa, segreta, altruista e disinteressata, miracolosa, idonea a curare più patologie diverse». Da parte sua «il ciarlatano è una vittima, incompreso, può avere una laurea, sviluppa una strategia di persuasione organizzata». A contrapporsi a questa figura è il medico, identificato come la persona che «fa tutto ciò che può, incluso dichiarare la propria impotenza quando tale è». «La speranza di una cura – spiega – non passa per nessuna scorciatoia».

La senatrice, applicando il metodo scientifico anche alla vicenda mediatica, riepiloga velocemente il caso, partito a Torino nel 2007 e passato anche da varie decisioni di tribunali (l’ultima risale a poche settimane fa) e ministri, oltre che sugli schermi e i giornali di milioni di italiani. Sugli interventi – a volte maldestri – effettuati dalla politica per cercare di rimediare, Cattaneo dichiara: «Sono temi complessi, posso capire che gli onorevoli non sappiano, ma quando c’è da legiferare devono essere in grado di capire». E sottolinea: «L’ultima parola è della politica, ma vorrei che fosse giusta e onesta». A un docente tra il pubblico, Angelo Vanella, che invita a non demonizzare l’uso delle cellule staminali, Cattaneo risponde con foga. «Ma chi le vuole demonizzare? – ribatte elencando le patologie nelle quali sono impiegate con successo – Si devono demonizzare comportamenti stile Stamina». Perché, aggiunge, «non vogliamo più cadere in trappole simili».

Assieme alla sensibilizzazione sui temi della ricerca dei colleghi parlamentari, la sfida che Elena Cattaneo sta affrontando si chiama Corea di Hungington, una malattia neurodegenerativa ereditaria. Una sindrome che colpisce un solo gene sui 30mila che compongono l’essere umano e che è nato – «innocente» – 800 milioni di anni fa. Dalle prime ricerche effettuate in Venezuela alle moderne analisi di laboratorio si è scoperto come questa malattia sembri essere un tratto che accompagna l’evoluzione dell’essere umano dal suo stato primordiale. «La malattia, lo stigma, è frutto della spinta evolutiva», spiega la docente. Ne sarebbe riprova uno studio in corso su bambini di uguale età che – in presenza del gene in questione – hanno capacità motorie e visive migliori. «Forse dobbiamo cambiare l’ottica delle malattie, pur continuando a combatterle».

 

[Foto di Scuola superiore di Catania su Facebook]

Carmen Valisano

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