Sono decine, forse centinaia le cavità presenti nel sottosuolo di Catania. «E sono un serio pericolo alla stabilità degli edifici, tanto che si dovrebbero studiare nel nuovo piano regolatore». A sostenerlo è Franco Politano, tra i fondatori del Centro speleologico etneo (Cse) ed esperto del sottosuolo urbano catanese, che esplora fin dalla metà degli anni ’70. Sotto le fondamenta di alcuni palazzi del centro, denuncia lo speleologo, la pietra lavica ha solo un metro di spessore. E, sotto lo strato di roccia, spesso si estendono grandi cave artificiali di ghiara. Sono delle piccole miniere, create nel corso dei secoli per recuperare la sabbia rossa, usata per creare la tipica malta che ha caratterizzo ogni edificio della città, almeno fino all’arrivo del cemento. Le cave costituiscono un rischio serio secondo Politano che, in occasione del dibattito sul nuovo piano regolatore generale, chiede ai consiglieri comunali di Palazzo degli elefanti di prendere in considerazione «la creazione di una norma per le indagini speleologiche preventive».
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«Sono almeno trenta le cavità note ed esplorate all’interno della città di Catania – spiega Politano – Ma potrebbero essere tantissime le cavità ancora sconosciute, in zone che un tempo erano solo la periferia cittadina». Una periferia che si estendeva dal limite nord ovest della via Plebiscito fino a zone oggi altamente abitate, come il quartiere San Leone e il viale Mario Rapisardi. La presenza delle cave prosegue lungo il percorso della grande colata lavica del 1669 fino ai paesi alle pendici dell’Etna come Gravina di Catania e San Pietro Clarenza, «dove c’è grande cava con ritrovamenti archeologici di epoca romana».
Le cave del centro storico, oggi dimenticate, erano ben note negli anni della guerra e utilizzate come rifugi anti-aerei. Oggi molti di questi ex rifugi, come la cava Daniele che prende nome dall’omonima via del centro e si estende per centinaia di metri, «presentano segni di crollo e lo spessore della volta rispetto al livello stradale è notevolmente ridotto» racconta Politano. Che mostra le immagini della cavità, che occupa la zona dell’antico lago di Nicito. E, sui pericoli, lo speleologo cita un eclatante caso di pochi anni fa, il 2002, in piazza Duomo: «Noi del Cse denunciammo la possibilità di crollo del pavimento della piazza – racconta Politano – al di sotto della quale scorre il fiume Amenano e sono presenti le terme Achilleane. Era il nel periodo di Sant’Agata – continua – l’amministrazione non prese in considerazione la nostra denuncia. Ma il crollo avvenne, per fortuna una settimana dopo la festa, senza nessun ferito».
Non vuole passare per un «allarmista», avverte, ma il pericolo che i solidi terreni in pietra lavica crollino, sotto l’apparente azione del fato, è reale anche oggi. «Un esempio è quello di pochi mesi fa, in via Acquicella. «Sotto la parete crollata c’è una grande cava, di cui si era perduta memoria» continua Politano, che cita gli esempi di Roma e Napoli, città oggetto di approfondite indagini speleologiche «dopo tragedie simili a quella che, negli anni ’50, portò al crollo apparentemente inspiegabile di una palazzina di viale Vittorio Veneto a Catania». L’edificio era costruito «sopra una cavità».
Il sottosuolo catanese è di natura diversa rispetto a quello di Roma e Napoli ma, nonostante la presenza della pietra lavica, i problemi sono molto simili a quelli delle due grandi città. «In media a Catania lo spessore del terreno lavico è di circa sei o sette metri – continua Politano – ma gli scavi per le fondamenta degli edifici hanno spesso ridotto lo strato di roccia fino a raggiungere le volte delle eventuali sottostanti cave di ghiara». Un problema particolarmente grave dal dopoguerra quando, con l’arrivo del cemento, c’è stato un aumento esponenziale delle costruzioni in periferia, in terreni ricchi di cave non adeguatamente segnalate. «La mancanza di utilizzo ha portato a dimenticare la loro posizione, con la conseguenza che oggi molti edifici sono costruiti su terreni che si ritengono robusti, pur non essendolo. Potrebbero resistere secoli, ma un’indagine specifica potrebbe individuare e risolvere subito i problemi», conclude Politano.
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