«Stanno facendo la gara a chi arriva per ultimo». Giorgia Meloni lo dice, tra il serio e il faceto, davanti l’ingresso della trattoria che per una sera è stato crocevia del politica italiana, sponda centrodestra. Due le primedonne che si fanno attendere: Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, i due volti di una coalizione la cui unità, fosse per le varie folle radunatesi a Catania, sarebbe già cosa fatta. Il loro arrivo nel locale è stato solo l’ultima delle voci che si rincorrono e si smentiscono in giro per la città, a ruota degli appuntamenti elettorali fissati dalle tre anime del centrodestra impegnate in un tira e molla senza fine.
Alla fine prima arriva l’ex premier – dopo il pienone alle Ciminiere e la riunione con 130 giovani forzisti a Villa del Bosco – e dieci minuti dopo il leader della Lega (sempre meno) Nord. Ad attenderli, tutto lo stato maggiore del centrodestra, ringalluzzito dai bagni di folla e da una vittoria di Musumeci che tutti – i sondaggi riservati aiutano in tal senso – sentono vicina: Lorenzo Cesa e Antonio De Poli per l’Udc, Ignazio La Russa e qualche seconda linea per Fratelli d’Italia, il candidato presidente Nello Musumeci e l’ex sindaco Raffaele Stancanelli, Vittorio Sgarbi, assessore ai Beni culturali in pectore, il leader palermitano, Gianfranco Miccichè, e quello catanese di Forza Italia Salvo Pogliese. L’abbraccio di Catania a Berlusconi è stato anche la sua personale prova di forza davanti all’elite del partito riunita ai piedi dell’Etna.
Ma il futuro di questo contenitore è ancora tutto da scrivere. Che la Sicilia – e la cucina catanese – diventi decisiva in tale ottica lo si capirà dal 6 novembre. Di sicuro, intanto, si fa affidamento sulla spinta del ricordo dei bei tempi andati, apertamente rievocati con video e bandiere vintage dalla scientifica macchina organizzativa forzista andata in scena alle Ciminiere. E richiamati anche dalle parole di Berlusconi, che a Catania giunge sempre quando l’esito di snodi politico-elettorali locali diventa cruciale in chiave nazionale.
La nave Azzurra approdava ai tempi della traversata nel deserto d’opposizione durante il primo governo Prodi. Il cavaliere ritornava, poi, quando c’era da far vincere la reincarnazione del berlusconismo in salsa catanese: il sindaco medico Umberto Scapagnini. Nel 2008, infine, si celebrava al PalaCatania l’apice della forza azzurra in Sicilia, alla vigilia della vittoria di Raffaele Lombardo. Oggi, Sant’Agata permettendo, l’ultima venuta di Berlusconi potrebbe sancire l’inattesa rinascita del centrodestra ancora sotto la stella dell’81enne leader e la guida – accettata a naso turato – di Nello Musumeci. Di cui pure la spigolosità, tanto incomprensibile a occhi come quelli dell’ex nemico Gianfranco Miccichè e salita alla ribalta sull’onda del caso impresentabili, sembra annacquarsi fra bandiere e il richiamo di vecchi slogan – il Ponte e le tasse da tagliare – che suonano paradossalmente nuovi davanti a un presente che racconta, alle orecchie del ritrovato elettorato forzista, della dissoluzione del centrosinistra e dell’incognita cinquestelle.
Al netto del tira e molla e di malintesi più o meno voluti – tutti e tre leader avevano convocato i comizi in fasce orarie e luoghi diversi, lasciando che il proposito di riunirsi in pubblico sparisse fra una marea di lanci d’agenzia e selfie – il segnale che si vuole lanciare è di concordia e unità dietro l’obiettivo della vittoria. Ma conta ancor più il segnale di un filo che si riannoda, una storia che riparte direttamente connessa a quel ‘94 da dove ritorna, con la macchina del tempo, Forza Italia. Berlusconi lotta con l’età e la giustizia e, dal podio, anche con il caldo da condizionatori fuori uso delle Ciminiere pur di non rompere l’incantesimo. Lo scoglio vero, prima ancora che la difficile convivenza fra moderati e destra-destra, ha le fattezze dei grillini.
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