Leggo, con stupore direi, di quanto, nonostante lo stato di degrado in cui versa Catania, di quanto sia ancora bello vivere in questa città e di come sia ricca di stimoli, di fermenti culturali.
Leggendo e sentendo queste opinioni ho finito per credere d’essere un marziano: mi sembra di vivere in una città asfittica, dove oltre all’ossigeno manchi anche lo spazio materiale per muoversi, ma sarò paranoico, mi dico, gli episodi dello stadio e tutto il resto fanno parte d’una sceneggiatura che descrive il postmodernismo di tutte le città occidentali, la nostra non fa difetto, e riguarda una frangia esigua di decervellati…
Poi ieri, tornando a casa dopo aver visto un film senza infamia e senza lode, mi imbatto in questo paesaggio: è mezzanotte e mezza, corso Sicilia è intasato di macchine come all’ora di punta; sotto i portici, ad intervalli più o meno regolari, cumuli di spazzatura abbandonata, io cammino evitando cacche di cane e i sacchi neri; i clacson che intimano all’auto che sta davanti di mettere le ali, cartacce dovunque lungo il marciapiede; svolto per via Etnea, mentre a piazza Stesicoro tanta gente fluttua dimostrando che questa città è viva e resiste, e il traffico non si fa meno assordante. Un gruppo di ragazzini, in tenuta da perfetta gang di bulli, si muove come un piccolo esercito puntando non so bene cosa; derubano un povero venditore di rose di tutti i fiori, vociano contro non ho capito bene se un vero travestito o un travestito per effetto del carnevale; più avanti un piccolo incidente. Le cartacce sono sempre e comunque dappertutto, spacciate in strada come semi di un’era che non può fare a meno dei computers e della sporcizia. La gente si muove sicura e tranquilla, io mi agito, sudo, mi guardo intorno, scorgo indifferenza e normalità. In via Etnea, ieri sera, se ci fosse vento volerebbero tovagliolini con tracce di sugo e gelato, pacchetti di sigarette, buste di plastica vuote. Sul lato destro, se la direzione è quella che porta al tondo Gioieni, una lunga litania di automobili parcheggiate per un gelato, per una pizzetta, per una pausa tra una sgommata ed un’altra. E’ l’una.
Catania non conosce altro, mi chiedo? Catania si alza in piedi ad applaudire spettacoli che in altre città meritano selve di fischi, si indigna nei giorni pari, in quelli dispari e quelli santificati porta in giro sante e puttane, qualche chierico fa il saccente e poi ritira la sua testa ben dentro la sabbia, mafiosi e gente perbene bevono dallo stesso bicchiere, e poco si meraviglia di se stessa, anzi si guarda, un po si disprezza, per il resto si piace e si ama.
Io non so dove trovare in questo squallore quel fermento culturale di cui tanto si parla. Io faccio una fatica cane a fare arte e non credo d’essere l’unico. Io vado al cinema a vedere solo film di cassetta perché non c’è più rimasto un cinema che programmi il cinema. Nessuno di noi sa o vuole incidere e se lo fa lo fa in splendido assolo, perché è troppo bravo e non vuole mai passare la palla.
E poi diciamo che la colpa è della politica: e sia. Così la nostra coscienza sarà, di sera, più pulita e bella.
Cè qualche splendida eccezione, ma di solito finisce ammazzato vicino alla stadio, e qualcuno ancora dice che è solo per una questione di donne.
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