Catania: bella e incompresa

Il Sole 24Ore con la sua inchiesta e le sue sempre temutissime classifiche ha aperto una ferita in città: Catania all’ultimo posto come vivibilità in Italia? No, dai, non è possibile.

Perché a sentirci, noi catanesi, sembra quasi che neanche Giove, avvolto nella sua grandezza, possa sfiorarci di striscio coi suoi fulmini. Il fatto è ovviamente molto più complesso. Che Catania sia una città splendida con una posizione geografica mozzafiato, sembra un dato incontestabile. Le sue consuetudini, i suoi amabili eccessi, il colore sempre scuro (per via della pietra lavica), ma affascinante delle strade e delle notti sono regali “divini” che ci teniamo stretti e che, sì, molte altre realtà sottolineano con ammirazione.

 

Catania e i catanesi, però, sono anni, tantissimi anni, che consumano lo specchio a furia di rifletterci la propria immagine. Un unico interesse, dunque, per la bellezza (superficiale) del proprio volto: “Specchio specchio delle mie brame chi è la più bella del reame”. E, si sa, lo specchio non sa dire bugie. Proprio non ce la fa ad essere più sincero e moralizzante, proprio non ci riesce a far luce su aspetti più perversi, più celati e malsani della nostra città. Lo specchio mostra solo un volto e nient’altro, non va mai in profondità. Non ha il senso della tridimensionalità, solo un piano piatto.

 

Ed allora il difetto di Catania è proprio quello di ammirarsi troppo senza preoccuparsi di rivolgere lo sguardo su cosa succede nel giardino(qualsiasi riferimento non è casuale) d’altri. Sui servizi, sull’organizzazione, sulla pulizia (non dimentichiamoci di un recente reportage sull’inquinamento siciliano e in particolare etneo), sullo sviluppo, sulle possibilità di lavoro, sulle prospettive. C’è una specie di senso di “autarchia” diffuso e più in generale un’ambizione di “autosufficienza” che porta la nostra città a viziarsi, a curare nei minimi dettagli i ricami delle sue vesti, mettendo, però, in secondo piano la qualità dei tessuti.

 

Si può vivere cent’anni a Catania? Certo. Ti senti a casa a Catania? Sì, chiaro. Ma allora perché s’annida dell’inguaribile amarezza tra le sue pieghe (piaghe), perchè questo cattivo (cronico) umore conficcato dentro al cuore?

Perché nessuno si stupisce quando De Bortoli col suo quotidiano ci strappa di dosso la nostra bella camicia (quella ricamata ad hoc) per farci vestire la maglia nera della vivibilità in Italia?

Perché, infine, ci sentiamo così belli, ma anche così incompresi?

 

La risposta, cari amici, soffia nel vento – direbbe il vecchio Dylan. O forse –  ed è il caso visto il periodo – annegherà nello spumante più buono stappato delle nostre tavole e verrà sballottata nella splendida folla che riempirà la via Etnea anche per questo Natale. A Catania, si può.

Riccardo Marra

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