Casteldaccia, una tragedia annunciata tra abusivismo e incuria «La differenza rispetto alle altre volte è che ci scappò il morto»

«La differenza rispetto alle altre volte è che ci scappò il morto. Anzi, i morti». Sul ponte della ss113, sotto gli enormi piloni dell’autostrada Palermo-Catania, i proprietari di quel che resta delle abitazioni guardano attoniti l’inferno di fango e detriti. Contrada Dagale-Cavallaro è solo una delle tante zone, appena fuori il paese di Casteldaccia, costruite sugli argini del fiume Milicia. Il corso d’acqua ha esondato nella notte tra sabato e domenica, travolgendo le case che si trovano proprio a ridosso. E spazzando via nove vite, oltre ad aver provocato una serie notevole di danni che devono ancora essere quantificati.

Ma non è la prima volta che il fiume Milicia straripa, proprio nell’alveo che porta al mare e dove confluiscono le acque provenienti dalle colline circostanti. In alcune abitazioni i muri scoloriti portano i segni degli episodi precedenti. «C’erano già state altre esondazioni – confida il barista de Il Castello, in centro – Ma si erano per così dire limitate a un metro, un metro e mezzo. Questa volta invece l’acqua ha invaso le abitazioni, ha travolto tutto. Probabilmente su quella parte del letto del fiume, dove confluiscono altri torrenti che si incanalano in una sorta di imbuto prima di arrivare al mare, i detriti provenienti dall’alto si sono accumulati e hanno fatto da tappo». E in effetti, camminando per le strette trazzere che si inerpicano sulla collina che domina la valle del Milicia, il fondo stradale, spesso consumato e scavato dall’acqua, è stato rattoppato con materiale di risulta edile, tra pietruzze, pezzi di mattonelle, mattoni e altro materiale che con lo scorrere incessante dei tanti rigagnoli, finiscono inevitabilmente per riversarsi nei torrenti a valle. Torrenti il cui letto è oltretutto spesso invaso dalla vegetazione. 

Una ricostruzione che anche i residenti di contrada Dagale-Cavallaro confermano. «Qui è sempre stato così» dicono, mentre elencano gli anni in cui le abbondanti piogge hanno ingrossato il fiume e provocato disagi. Digrignano tra i denti la logora formula della «tragedia annunciata», e quando gli si chiede perché allora non hanno abbandonato prima quelle pericolose abitazioni, rispondono che «volevamo una casa a tutti i costi». Intanto la statua di san Giovanni, sul ciglio della contrada, sembra vegliare sulla moltitudine di persone che si addensa in quella strada – dove l’acqua gocciola persino dai piloni della A19 e il fango ha inghiottito le speranze. Poco più avanti la famiglia Greco è al completo. Nonni, zii, nipoti: tutti con gli stivali, tra bacinelle e stracci per svuotare quella poltiglia di acqua, fango e detriti che sembra essersi annidata ovunque. «Noi restiamo, è qui il nostro posto» dice il signor Giovanni ai ragazzi. Le versioni sulla tragedia, tuttavia, si inseguono: da un lato i vigili del fuoco che rimangono vaghi e parlano di «evento eccezionale, imprevedibile», dall’altro una residente che parla di un fiume Milicia che «già nel pomeriggio si era molto ingrossato e qui si poteva arrivare solo da Casteldaccia, non da Altavilla, dove c‘era già un allagamento all’altezza della stazione ferroviaria».

Intanto gli altri residenti di contrada Dagale-Cavallaro scoprono che gli accessi alle proprie abitazioni sono bloccati. La polizia municipale dirotta tutti sull’autostrada. E sulla ss113 inibita al passaggio delle auto, sono in tanti a  percorrere a piedi quei pochi metri che li separano dal ponte, dove è possibile constatare di presenza l’orrido spettacolo dell’insana convivenza tra la natura e l’abusivismo edilizio. Come la signora Maria, palermitana e sorella di una residente. «Per fortuna la sua casa è costruita bene – dice – Lì dove c’è il campo sportivo hanno tombato il rigagnolo, col risultato che a ogni pioggia tutte le case vanno sott’acqua. Io dico che in primis ci vuole il rispetto delle leggi. Basterebbe questo per non far avvenire tragedie del genere». Di fronte, il mare è un’enorme chiazza marrone, si vede all’orizzonte, ma si può scorgere anche dai cancelli delle ville costruite a pochi centimetri dal bagnasciuga. Anche il fiume Milicia è una miscela torbida e minacciosa di acqua e fango in una cornice di alberi di agrumi sradicati e canneti rasi al suolo sotto le auto che continuano a sfrecciare sull’autostrada, sotto un sole che splende sui resti del disastro. 

Andrea Turco

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