«Con quello che è successo non c’entrano niente né la classe sociale né la questione razziale: è un fatto culturale, riguarda quel patriarcato che definisce il rapporto tra uomo e donna in termini di dominio e sottomissione». Emma Baeri, storica, scrittrice e femminista catanese di lungo corso lo dice chiaramente: «Le statistiche dicono che la maggior parte delle violenze sulle donne e dei femminicidi avviene tra le mura domestiche, perpetrate da uomini bianchi, occidentali». Per questo nell’omicidio di Veronica Valenti, 30 anni, non ha alcuna influenza il fatto che l’assassino, il 27enne Gora Mbengue, ex fidanzato della donna, sia di origini senegalesi. Lui l’ha uccisa il 26 ottobre, in via Tezzano, nei pressi della stazione di Catania, dopo una lite scaturita dalla decisione di lei di chiudere la loro relazione che durava da un anno. Veronica – della quale questa mattina si sono tenuti i funerali nella chiesa madre di Belpasso, Comune in cui viveva con il padre e in cui è stato dichiarato il lutto cittadino – è stata raggiunta da 60 coltellate alla schiena e all’addome. «Sono sceso di casa con un coltello in mano e ho pensato: se mi dice no lammazzo», è quanto Mbengue avrebbe detto agli agenti che lo hanno interrogato, subito dopo l’arresto. Per questo, è accusato di omicidio volontario premeditato.
Ma è il colore della pelle di Gora Mbengue ad aver scatenato il maggior numero di commenti. Sia sotto agli articoli di giornale che riportano la notizia del femminicidio, sia su Facebook, all’interno della pagina Veronica Valenti rip, gestita da un anonimo «ragazzo catanese» che, nella descrizione, scrive: «Immigrazione controllata o libera?». Ed è lì che Mbengue viene definito un «orango schifoso», «un simile esemplare», un «bastardo negro»; mentre a Veronica Valenti si rimprovera di non essere stata «molto attenta». «Non c’è alcuna specificità di provenienza geografica in questo delitto: chi cavalca il razzismo lo fa per malafede o per ignoranza. È soltanto una scusa per mettere in mezzo l’immigrazione», commenta Baeri.
«Quella contro il femminicidio è una battaglia che deve essere combattuta prima che sul piano dell’ordine pubblico su quello dell’educazione sentimentale. Non è inasprendo le pene che gli uomini smetteranno di considerare le donne una loro proprietà», afferma Emma Baeri che, fino a qualche anno fa, ha insegnato Storia moderna all’università di Catania. «Le bambine vengono educate da sempre alla generosità e alla comprensione, secondo un modello per il quale il loro essere potenziali generatrici di vita le renda automaticamente un prototipo materno prosegue Baeri È un condizionamento profondissimo, che viene da lontano. Perché di fronte alla pretesa di possesso degli uomini, le donne tendono a essere disposte a capirli. Non è che ci stanno, è che è stato insegnato loro a comportarsi così». Ma «dall’accettare un rapporto asimmetrico all’accettare una violenza o un assassinio ne passa».
«Se la dominazione dell’uomo sulla donna fosse un fatto naturale, allora tutti gli uomini dovrebbero avere una tendenza al predominio, io mi rifiuto di pensare che sia così continua la docente E comunque: la cultura è riuscita a modificare taluni comportamenti ferini, quindi non vedo perché questo non possa essere cambiato altrettanto. Pensando a quello che è successo a Veronica Valenti adesso bisogna avere pietà e programmare, per il futuro, un percorso educativo di lungo periodo. Perché l’unico modo per cambiare un modello patriarcale è interferire con la sua diffusione sin dalla scuola». Non bisogna, però, rivolgersi soltanto agli uomini, ma anche alle donne: «Elizabeth Cady Stanton nel 1848 disse che le donne devono imparare a essere giuste verso se stesse prima che generose verso gli altri perché gli altri imparino ad avere cura di loro. Lavorare su come noi vediamo noi stesse è una rivoluzione eccezionale, che necessita di tempo».
E anche se da più parti, pure in politica, si invocano maggiori tutele per il genere femminile, per Baeri ci sono alcune precisazioni da fare: «Il bisogno di protezione non deve sancire una minorità, deve invece preservare una differenza biologica e culturale vitale. E deve passare il messaggio che le tutele non sono necessarie solo per le donne, ma per tutta la comunità: come diceva Olympe de Gouges nel 1791, come la tutela di una donna in maternità è un bisogno per tutti, così una donna picchiata, violentata e uccisa è una macchia per una società intera». A un’uguaglianza formale tra uomini e donne serve aggiungerne, adesso, una sostanziale: «C’è molto da ottenere conclude Baeri Si pensa che i panni sporchi vadano lavati in casa, invece il personale è politico. Tutto quello che riguarda una persona riguarda la politica. E i passi avanti non devono essere fatti solo da chi ha bisogno di ulteriori strumenti culturali. Quanti sono gli uomini con grandi ideali di democrazia per i quali essere violenti con le loro partner è assolutamente normale?»
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