«Dei tredici casi analizzati, abbiamo concluso che tutti sono stati fondamentalmente degli interventi di chirurgia estetica». Non hanno dubbi i medici Giuseppe Capone ed Eugenio Tremante, i periti incaricati dal pm Luca Battinieri per verificare, studiando le cartelle cliniche oggetto del processo a carico dell’ex primario di Villa Sofia Matteo Tutino, se gli interventi fossero di natura funzionale – e quindi eseguibili in una struttura pubblica – o estetica. Circostanza che il chirurgo ha sempre negato, tirando in ballo il collega Giuseppe Cuccia, rimasto fuori dall’indagine, che avrebbe firmato da solo le cartelle e i documenti ora al vaglio della Corte.
«Anche dando per scontato che in alcuni casi potessero forse esserci dei problemi di natura respiratoria, comunque nelle cartelle esaminate mancano tutti i requisiti fondamentali per stabilire se un intervento fosse funzionale o meno – spiegano i due medici – Se rientrassero insomma in regime di Lea», cioè i livelli essenziali di assistenza. Dai casi di gigantomastia a quelli di rino e settoplastica, mancherebbero, a detta dei periti dell’accusa, gli studi necessari per ogni singolo caso per stabilire se operare oppure no. «Ci sono casi evidenti, persino per i non addetti ai lavori. Come quello di una ragazza con un naso esile e privo di gobbe o gibbosità – continuano – Non esprimiamo nessun giudizio etico e morale sul collega e neppure sulle sue capacità, anzi, visto i risultati prodotti è un eccellente chirurgo. Ma questi casi, purtroppo, non rientrano tra gli interventi necessari».
Troppe le «irritualità» di un «canovaccio sempre uguale», secondo i due specialisti in otorinolaringoiatra e chirurgia plastica. Nel frattempo Tutino ascolta con attenzione la testimonianza dei due colleghi. Ed è giallo quando, a una domanda della presidente Vincenzina Massa, sia Capone che Tremante non sanno rispondere. «Leggo dappertutto l’acronimo Sdo, ma per che cosa sta?». Tergiversano entrambi, spiegano il concetto ma non la traduzione di quella sigla: «Allude alla quantificazione dell’operato del medico – dicono i due – Cioè corrisponde al valore economico che la Regione attribuisce al tipo di intervento eseguito». Attesta, insomma, cosa è stato fatto ai fini del rimborso. La giudice sembra accontentarsi, ma i periti vengono incalzati dalla difesa e devono ammettere di non sapere altro sulla questione. «Scheda di dimissione ospedaliera», interviene il pm Battinieri.
Pur non sconfessando quello quanto dichiarato in ognuna delle cartelle analizzate, in primis la funzionalità degli interventi, i medici Tremante e Capone propendono per un’interpretazione opposta. Un’udienza di oltre cinque ore ed estremamente tecnica. Sul finale, la palla è passata alla difesa, che ha condotto un controesame serrato, volto a far emergere, dal suo punto di vista, la mancanza di alcune consulenze specialistiche che non sarebbero state fornite ai due periti per svolgere il loro incarico o, peggio, che i due potrebbero aver volontariamente ignorato. «Consulenze specialistiche che ci sono, sono presenti in cartella», insistono i difensori. Non si sarebbe tenuto conto neppure dell’autorizzazione, per quegli interventi, della stessa azienda ospedaliera, che avrebbe dato il benestare nell’ambito di un’attività di formazione e di training.
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