Colpo di scena. Ancora uno. I giudici della seconda sezione della corte di Cassazione hanno annullato con rinvio la sentenza di condanna a otto anni di Sebastiano Scuto, l’imprenditore 75enne giudicato colpevole dalla corte d’Appello di Catania per associazione mafiosa. Saranno quindi dei nuovi togati a dovere analizzare le prove a carico di Scuto che da Roma porta a casa anche l’assoluzione dall’accusa di avere fatto affari con Bernardo Provenzano. L’espansione palermitana a braccetto con Cosa nostra era al centro del ricorso della procura generale che però è stato rigettato dalla Cassazione. Entusiasti i legali dell’uomo d’affari. Gli avvocati Giovanni Grasso, Franco Coppi e Guido Ziccone parlano in coro di «grande soddisfazione per il risultato ottenuto». I giudici hanno stabilito, come si legge nell’ordinanza, che nel nuovo processo bisognerà esprimersi «limitatamente alla data di consumazione del reato, al trattamento sanzionatorio e alla confisca».
Passata la pronuncia dei giudici ermellini, il capitolo precedente della storia giudiziaria dell’imprenditore risale ai primi giorni di ottobre dello scorso anno. È durante una giornata tipicamente autunnale che Scuto viene condannato dalla corte d’Appello per associazione mafiosa a otto anni. Una sentenza più lieve rispetto a quella, sempre in secondo grado, di 12 anni che gli viene comminata ad aprile 2013. In mezzo c’è il primo passaggio in Cassazione che, come l’ultimo e definitivo di oggi, dispone l’annullamento della condanna il e rinvio a un nuovo collegio di giudici etnei.
Per rintracciare le fondamenta di questa storia, almeno quella che si è svolta dentro le aule di giustizia, bisogna andare ancora più indietro nel tempo. Nel 2012 il processo di primo grado si conclude con la condanna a quattro anni e otto mesi, pronunciata undici anni dopo l’arresto del 2001. Periodo, quello a cavallo del nuovo millennio, che comincia con il rischio concreto che il processo non si sarebbe mai celebrato. La procura etnea aveva infatti chiesto l’archiviazione del caso, ricevendo però la risposta negativa del giudice per l’indagine preliminare. L’inchiesta viene quindi avocata dalla procura generale che rileva «inerzia e mala gestio» nel lavoro dei magistrati catanesi. Da un lato c’è l’allora procuratore capo Mario Busacca che sminuisce la consistenza degli indizi, dall’altro il magistrato Niccolò Marino che denuncia pressioni, da parte dei suoi stessi colleghi, e ritardi nella fase investigativa. Un caso che spacca l’ufficio giudiziario etneo e si consuma anche mediaticamente.
Il cognome di Scuto è legato senza mezzi termini alla sua creatura, ormai fallita: il colosso della grande distribuzione Aligrup spa. Società che l’imprenditore ha fondato nella sua città, San Giovanni La Punta. Una vera e propria macchina da soldi che nei primi anni del 2000 è valutata attorno ai mille miliardi di lire, con 1.600 dipendenti e un indotto che ne impiega quattromila. Dietro tutto questo, secondo l’accusa, ci sarebbe stato un vorticoso riciclaggio di soldi da parte del clan mafioso dei Laudani.
Quaranta miliardi di euro. Sarebbe questo il giro d'affari delle mafie in Italia. Un numero…
Una processione vissuta in preghiera con la sospensione di tutti i segni festosi. Niente banda…
Un uomo, 29enne originario del Bangladesh, è stato accoltellato la scorsa notte a Palermo, nel mercato…
La Polizia, a Catania, ha denunciato un 20enne responsabile del furto di un borsello all’interno…
I carabinieri della sezione Radiomobile della compagnia di Marsala hanno arrestato in flagranza un 35enne…
Un operaio irregolare, originario del Màghreb, è stato abbandonato per strada nell'isola di Panarea, lontano…