A essere stata colpita dal sequestro preventivo disposto la scorsa settimana dal tribunale di Caltanissetta non è solo Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, ma anche una nutrita schiera di personaggi finiti nel giro di presunti guadagni illeciti tramato, secondo l’accusa, dalla giudice. Fra tutti spicca il nome di Tommaso Virga, componente togato del Consiglio superiore della magistratura dal 2010 al 2014 che, secondo gli inquirenti, avrebbe esercitato nei confronti di Saguto particolari sollecitazioni per fare in modo che il figlio Walter fosse nominato amministratore giudiziario.
Cosa che in effetti succede. A lui Saguto affida il procedimento Giardina nel maggio 2013 e il sequestro Rappa nel marzo 2014. Nomine determinate, in base a quanto sostenuto dai magistrati, da motivi personali della giudice: cioè compiacere Virga senior e continuare ad assicurarsi il suo sostegno, già dimostrato in passato all’epoca della nomina di Saguto come presidente. «Qualunque cosa si farà, sarà fatta per suo padre, da chiunque», dice la donna intercettata l’8 giugno 2015. E lo stesso Walter sembra essere consapevole a sua volta dell’influenza del padre: «Lei oggi non può mettersi contro mio padre, non lo può fare, è troppo sola, è disperata», dice il 15 giugno 2015.
Un presunto rapporto di convenienza, dunque, quello che avrebbe legato Saguto e i due Virga. Che a un certo punto però inizia a traballare. La giudice, intercettata, dice esplicitamente che Walter Virga non aveva le capacità per svolgere l’incarico di amministratore giudiziario: «Un ragazzino da niente, ha avuto quello che ha avuto e questo è il ringraziamento», è la sua reazione quando apprende che il giovane aveva allontanato dal proprio studio legale la nuora della presidente. A sua volta, secondo l’accusa, «imposta» da Saguto stessa. Una sorta di «pizzo», lo definisce Walter Virga, che si dice costretto a pagare per poter lavorare.
Un altro rapporto triangolare è poi quello che lega i Virga e Luca Nivarra, professore di Diritto civile all’università e presidente dell’Accademia delle Belle arti di Palermo. Il docente viene nominato da Tommaso Virga amministratore provvisorio del patrimonio immobiliare del defunto Baldassare Sapuppo nel 2006. Lo stesso periodo in cui il figlio Walter prepara la tesi di dottorato proprio con Nivarra relatore, che gli avrebbe procurato un contratto per l’insegnamento nel 2013 e un posto da ricercatore a tempo determinato nel 2014. Secondo gli inquirenti, un vero e proprio giro di favori. Il professore viene nominato anche nel sequestro Rappa, e questa volta da Walter stesso: con un provvedimento autorizzato dal giudice delegato Fabio Licata, anche lui coinvolto nelle indagini per il suo concorso nella nomina di Walter Virga. Gli incarichi, il primo di 40 ore e il secondo di 80, gli avrebbero fruttato un compenso totale di 45mila euro.
Ma nel fascicolo degli inquirenti finiscono altri nomi illustri. Come quello di Rosolino Nasca, tenente colonnello della Guardia di finanza e in servizio alla Dia di Palermo, che nel 2015 avrebbe promesso alla giudice Saguto di fare in modo che il marito di lei, Lorenzo Caramma, venisse coinvolto in modo occulto come collaboratore nelle pratiche di sequestro, facendo leva sull’inconsapevole amministratore giudiziario di turno. «Tranquilla, ti dico io come fare, non comparirà da nessuna parte. Viene assunto da una terza persona e se vuoi fare un’interrogazione non emerge nulla, lo sappiamo solo noi due, è una cosa scientifica Silvana», dice intercettato. Identico trattamento, secondo gli investigatori, anche per uno dei figli della giudice e la sua fidanzata, coinvolti nelle procedure di prevenzione.
Dello stesso meccanismo avrebbero fatto parte anche gli amministratori giudiziari Roberto Nicola Santangelo e Carmelo Provenzano: il loro ruolo fra aprile e maggio del 2015 pare fosse quello di coinvolgere nelle amministrazioni giudiziarie, con l’avallo di Silvana Saguto che autorizzava le nomine, i propri parenti più stretti, spesso con presunti incarichi di facciata ma comunque retribuiti con liquidazioni di circa 700mila euro a testa. Per fare loro posto, secondo la ricostruzione dei magistrati, i due avrebbero anche licenziato alcuni dipendenti.
Ma non solo denaro. Nel caso di Carmelo Provenzano – che ricopriva anche il ruolo di ricercatore presso l’università Kore di Enna – il «prezzo della corruzione» sarebbe stata anche la particolare attenzione nel percorso pre e post laurea di uno dei figli della presidente, che trasferisce nell’ateneo dell’entroterra siculo il proprio piano di studi dietro suggerimento dell’uomo. «Mi serve soltanto che lui si mette a studiare, perché con me non studia mai», gli dice al telefono Saguto il 14 maggio 2015. E così arriva il momento della tesi: anche a quella, dicono i magistrati, avrebbe pensato il professore. «Hanno già stabilito il titolo con Roberto Di Maria – preside della facoltà di Giurisprudenza e coinvolto nelle indagini, ndr – Qualcosa delle misure di prevenzione, dice che la scrive in quattro giorni Carmelo». Ultima, ma non certo per importanza, Francesca Cannizzo, ex prefetta di Palermo, che sarebbe coinvolta insieme alla giudice nella sistemazione del nipote di un amico con un compenso netto non inferiore ai 2.500 euro mensili.
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