L’ordine degli avvocati di Palermo serra le fila e passa al contrattacco denunciando «il clima non sereno, di sfiducia, di disagio» che si è creato attorno al Tribunale di Palermo dopo la bufera che si è abbattuta sulla sezione Misure di Prevenzione ovvero l’apertura di una indagine da parte della procura di Caltanissetta, che vede coinvolti Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione, il collega Lorenzo Chiaramonte e all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara. Nell’inchiesta sono coinvolti anche il pm Dario Scaletta, il presidente di sezione Tommaso Virga, ex componente del Csm e Fabio Licata. Per tutti al momento è stato deciso, dal Csm, il trasferimento per incompatibilità ambientale; Licata già mesi fa aveva chiesto il trasferimento all’Aia la Corte internazionale di giustizia.
Il presidente Francesco Greco, durante una conferenza stampa convocata per l’apposito, ha raccontato un episodio di qualche giorno fa: «Un cliente mi ha chiesto se un certo magistrato era avvicinabile. Io ho difeso il magistrato e poi ho mandato il cliente a quel paese. Se si diffonde l’idea che la giustizia vada avanti se un magistrato è avvicinabile o meno si corre un rischio enorme».
Greco ha poi respinto le accuse «sugli incarichi d’oro, in genere le consulenze degli avvocati ammontano a poche centinaia di euro» anche se ha ammesso che «nessuno si poteva aspettare che le cifre erogate ad alcuni consulenti fossero tanto spropositate. Se ci fosse stata contezza delle dimensioni dei compensi da parte dei vertici dell’autorità giudiziaria ma anche da parte dell’ordine, si sarebbe intervenuto prima. Forse chi doveva controllare non lo ha fatto e ha consentito che queste liquidazioni crescessero». Scoppiato il bubbone, però «siamo subito intervenuti a carico degli avvocati interessati, finora due, aprendo i rispettivi fascicoli disciplinari. Saremo inflessibili con chi ha sbagliato ma chiediamo analogo rigore per gli altri».
Insomma, il mondo forense non ci sta a fare da capro espiatorio in una brutta vicenda che, in un certo senso, avrebbe potuto essere scongiurata: «Già prima della famosa audizione del prefetto Caruso presso la Commissione nazionale Antimafia – ha raccontato il presidente -, durante la quale la presidente Bindi lo maltrattò, avevamo evidenziato le disfunzioni nella gestione dei beni confiscati: troppi consulenti, procedimenti giudiziari troppo lenti per l’assegnazione, amministrazioni giudiziarie andate avanti per anni senza soluzione di continuità. Sarebbe il caso, invece, di prevedere un termine entro il quale un bene deve essere restituito alla comunità e magari attribuito al Comune per farne scuole o sedi di associazioni o immesso nuovamente nel mercato».
Già, ma quali le soluzioni per scardinare un sistema che ha mostrato più di un’incrostazione? «Innanzitutto – ha spiegato Greco – occorrono un albo e un ordine degli amministratori giudiziari, che non possono essere dei manager come vorrebbe qualcuno ma veri e propri professionisti, con tanto di disciplina professionale e codice deontologico. Abbiamo chiesto inoltre al presidente del tribunale di verificare l’effettiva rotazione degli incarichi e la trasparenza sulle nomine e sulle tariffe dei compensi. Sappiamo che si è già mosso in tal senso. Una cosa non accettiamo – ha concluso Greco -: che gli avvocati passino come i responsabili delle disfunzioni del sistema. Tutte le volte che sono state segnalate delle irregolarità noi siamo intervenuti».
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