«Sono state chiuse le indagini sul caso Nicole Di Pietro». È con queste parole che la procura annuncia la fine del primo capitolo a proposito della neonata, morta lo scorso 11 febbraio poco dopo la nascita nella clinica Gibiino di Catania. Sei in tutto sono gli indagati. Ma è su tre di loro che pendono le accuse più pesanti: alla ginecologa Maria Ausilia Palermo, al neonatologo Antonio Di Pasquale, all’anestesista Giovanni Gibiino vengono contestati i reati di omicidio colposo e di falso ideologico relativo alla compilazione della cartella clinica della bambina. Oltre a loro, tra gli indagati figura anche l’ostetrica Valentina Spanò, che avrebbe scritto informazioni errate sulla scheda relativa al travaglio di Tania Egitto, madre della bimba. A completare il quadro si aggiungono Danilo Audibert e Fabrizio Paglia, all’epoca dei fatti rispettivamente direttore sanitario e infermiere responsabile della sala operatoria della clinica. Entrambi sono accusati di favoreggiamento personale e di false informazioni al pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari.
Secondo i magistrati, la morte della piccola Nicole sarebbe avvenuta per «condotte gravemente colpose, attive e omissive». In primo luogo, a mancare sarebbe stato il controllo dello stato del feto durante il travaglio, cosa che «avrebbe consentito di prevenire la sofferenza fetale, poi verificatasi, ricorrendo a un parto cesareo d’urgenza». Successivamente, a parto avvenuto, sarebbero state sbagliate le manovre di rianimazione eseguite. Un fatto che avrebbe aggravato ulteriormente le condizioni della piccola, provocandone l’arresto delle funzioni vitali. Di Pasquale e Gibiino, poi, avrebbero «attestato il falso» nella cartella clinica di Nicole rispetto alle manovre praticate e alle condizioni di salute della bambina immediatamente dopo la nascita.
Fondamentale per lo sviluppo delle indagini è stata la perizia dei medici legali. Tramite la quale è stato possibile per la procura sostenere che pure la scheda del travaglio riportasse informazioni non corrette. Come quelle, indicate dalla ginecologa Palermo e dall’ostetrica Spanò, «dove viene riportato un valore del battito cardiaco del feto incompatibile con le reali condizioni di salute della neonata risultanti dalla consulenza tecnica». A concludere il quadro, ci sono le accuse ad Audibert e Paglia, che avrebbero mentito in merito alla presenza, in sala parto, del kit di emergenza neonatale. «Che invece, come emerso dagli accertamenti effettuati – scrivono i magistrati etnei – nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2015 mancava».
Capitolo a parte di questa storia merita l’ultima accusa mossa a Maria Ausilia Palermo. Che sarebbe colpevole anche di lesioni personali colpose ai danni di Tania Egitto. Quest’ultima, il 25 febbraio 2015, è finita al pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro per via di una infezione vaginale che si protraeva da 13 giorni. E che sarebbe stata causata dalla mancata rimozione di una garza durante l’applicazione dei punti di sutura post partum. Una dimenticanza della quale la procura incolpa la ginecologa.
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