«Io ricordo che ebbi delle perplessità, perché rispetto alla foto che avevamo acquisito attraverso il profilo Facebook evidentemente la persona che ci veniva consegnata non aveva quelle fattezze fisiche. Per cui chiesi al servizio centrale operativo di fare un accertamento, però non ricordo di che tipo». Sono queste le parole con cui Carmine Mosca, all’epoca delle indagini vice dirigente della Mobile di Palermo, descrive il suo primo incontro con l’uomo detenuto da un anno con l’accusa di essere il trafficante di esseri umani Medhanie Yehdego Mered. Uomo che sin dall’inizio ha dichiarato di chiamarsi invece Medhanie Tesfamariam Berhe e di essere vittima di un clamoroso scambio di persona. Mosca è uno degli agenti che va personalmente a prenderlo a Khartoum, insieme all’ispettore Giuseppe Mauro, sentito nelle scorse udienze. «Noi avevamo una fotografia che era stata acquisita da un profilo Facebook, rispetto alla quale potevamo avere una qualche idea che si trattasse del ricercato – prosegue il teste – anche perché era l’unica possibilità che avevamo di avere un’acquisizione in più rispetto a quelle delle intercettazioni e a quanto ci riferivano le autorità inglesi e sudanesi».
Lo attendono per diverse ore lì all’aeroporto. Ma al momento della consegna restano interdetti. Aspettano di essere a Palermo insieme a lui per potersi rivolgere agli interpreti che avevano collaborato alle indagini. E una in particolare, Abraha Yodit, si rivela fondamentale. «Lei aveva seguito tutte le intercettazioni di Glauco II e in particolare quelle di Medhanie – spiega – E poi questa interprete per noi è diventata un punto di riferimento». Al confronto vocale segue un responso decisivo: «Ricordo lo sgomento di questa ragazza nell’affermare con certezza che aveva riconosciuto la voce di Medhanie come nelle intercettazioni del 2014 e del 2016 – continua Mosca – Mi disse, e lo ricordo nonostante sia passato un anno e numerose altre indagini, che il modo di parlare e l’aggressività erano gli stessi di quelli con cui Medhanie si esprimeva nelle intercettazioni del 2016, gridando perché evidentemente si trovava in luoghi affollati, un modo di fare che l’aveva addirittura mandata in burnaut per quante intercettazioni e quante cose aveva sentito, e quindi secondo lei non poteva sbagliarsi».
Un atteggiamento deciso che, tuttavia, non è trapelato durante la testimonianza della stessa interprete di fronte alla corte della quarta sezione penale appena tre settimane fa. «C’erano alcune telefonate semplici e altre con problemi di linea, il tono dipendeva dalla conversazione e dalla situazione – aveva riferito in aula – Le telefonate erano infinite e le persone tante, ma dopo un anno a sentire la stessa voce ho riconosciuto la familiarità con quella ascoltata nel 2016». A fine maggio, quindi, tutta questa sicurezza riferita oggi da Mosca non era emersa, anche perché le voci fatte ascoltare all’interprete dagli inquirenti erano state riconosciute «a orecchio», senza avvalersi di appositi dispositivi. L’esame del teste prosegue riepilogando quelle sono state le fasi principali di Glauco II. Rinviato invece il controesame, per questioni di tempo. La prossima udienza è fissata per fine giugno e sui teste da convocare il giudice Bruno Fasciana è stato perentorio col pm Geri Ferrara: «Citi il teste Marco Zonaro, se non si presenterà verrà accompagnato coattivamente, oltre che condannato dalle sezioni previste». Il perito tecnico nominato dalla Procura infatti era stato convocato già nelle precedenti udienze, senza presentarsi per impedimenti lavorativi. Intanto, sono stati sospesi i termini della custodia cautelare, che sarebbero scaduti a breve.
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