Caso Mered, sentita la Guardia costiera «Il trafficante era a Dubai l’estate scorsa»

«La fonte della polizia olandese ha riferito che fino all’estate scorsa Medhanie si trovava a Dubai». A pronunciare questa frase di fronte alla seconda Corte d’Assise, riunita nell’aula bunker dell’Ucciardone, è il sergente Samuel Sasso del nucleo speciale di intervento della capitaneria di porto, chiamato a testimoniare nel processo contro il presunto trafficante di uomini Medhanie Yehdego Mered. In carcere, da oltre un anno, c’è un detenuto che dichiara sin dal suo arresto avvenuto a maggio dell’anno scorso di essere un semplice rifugiato in attesa di imbarcarsi e di chiamarsi Medhanie Tesfamariam Behre. «Dalla Dda di Roma abbiamo ricevuto la richiesta di impegno integrativo, in supporto al contrasto della criminalità organizzata dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina», spiega il sergente. Lavorano sulle intercettazioni e riferisce che glil interlocutori prediligono come lingua il tigrino, ma in alcune conversazioni parlano anche l’arabo. Lingua che l’uomo detenuto al Pagliarelli ha sempre dichiarato di non conoscere.

Sono due, poi, le donne più importanti nella vita del trafficante Mered: la prima è la ex compagna Semhar, con la quale condivide la figlia Milena; la seconda, invece, è l’attuale moglie Lidya Tesfu, anche con lei concepisce un bambino, Raeiy. Attraverso il profilo Facebook di quest’ultima, i militari ricostruiscono la rete di parenti del trafficante. Ci sono tutti, non manca nessuno all’appello, dal fratello Merhawi alla sorella Mhret. Mentre non risulta nessun contatto col profilo denominato Medhanie Meda, riconducibile all’uomo attualmente detenuto. E il sergente parla anche di Seifu Haile, attualmente detenuto a Roma, la cui testimonianza davanti ai giudici romani potrebbe entrare presto nel dibattimento palermitano: «Lui era quello che aveva il compito di redigere le famigerate liste: c’era un complice anche a Roma che manteneva i contatti coi trafficanti in Libia e con i famigliari dei migranti in Italia e in Europa – spiega -. Abbiamo intercettato oltre 40mila comunicazioni, il parente di turno veniva istruito su come mandare il pagamento e in genere a curare questi contatto erano gli intermediari, non il trafficante in prima persona».

Il sergente spiega anche come lo stesso telefono veniva usato da più trafficanti contemporaneamente. «Abbiamo acquisito una serie di elementi che ci hanno dimostrato che spesso Seifu Haile e Medhanie fossero direttamente insieme, durante le telefonate spesso il primo diceva “Attendi un attimo” e poi passava il telefono a Medhanie». Ed è dall’ascolto delle telefonate che risalgono anche al patronimico del trafficante, quando sentono «wedi Yehdego», cioè il figlio di Yehdego. Dall’analisi di Facebook notano anche alcuni movimenti nei due profili attribuiti a Mered, meda.yehdego uno e due: mentre già al Pagliarelli c’è un uomo in stato di detenzione che affronta un processo in Italia, in uno dei due profili viene cambiata l’immagine di copertina con la foto di un bar di Dubai, e condiviso anche un post identico in entrambi gli account.

Prima del sergente Sasso, a sedere sul banco dei testimoni è Massimo Maiolo della Guardia costiera di Roma, coinvolto nella stessa indagine dall’ottobre 2016 e che incontra anche l’uomo detenuto: «Ci disse di non chiamarsi Medhanie Yehdego Mered ma Medhanie Tesfamariam Behre, di essere di Asmara, di non avere né figli né moglie, e di avere una sorella che viveva in Norvegia». Anche lui riceve un incarico speciale di supporto alle indagini dalla Procura della capitale, tesa all’epoca a individuare la cosiddetta cellula romana dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. 

Silvia Buffa

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