Caso Mered, per Roma nessun errore di persona Legale: «È una follia, vogliono tenerlo in carcere»

Il tribunale del riesame di Roma scarta l’ipotesi dello scambio di persona. Quello in carcere sarebbe, quindi, il vero boss della tratta di esseri umani Yedhego Medhanie Mered. Michele Calantropo, legale dell’uomo detenuto in carcere e che dichiara di essere Medhanie Tesfamarian Berhe, si era rivolto alla procura della capitale per chiedere l’annullamento della misura cautelare emessa dai magistrati di Palermo. Una conferma per l’impianto accusatorio costruito in questi mesi dai pm Claudio Camilleri e Geri Ferrara: «Tenuto conto che, in attesa di ulteriori approfondimenti investigativi, occorre valorizzare gli elementi che, anche sotto il profilo dell’esatta identità dell’arrestato, assurgono a gravi indizi e consentono di ritenere che il soggetto tratto in arresto in Sudan ed estradato in Italia sia l’indagato Mered», fanno sapere da Roma.

«Attualmente non conosco le motivazioni di questa decisione – commenta il legale dell’eritreo – L’assurdità è che si continua a ragionare in questi termini: “noi non siamo sicuri di sapere che è lui, ma nell’attesa di sapere chi è lo teniamo in galera”. Cioè il contrario di quello che dice il codice. È una follia». L’uomo resta al Pagliarelli di Palermo, mentre il processo va avanti. Solo l’altro ieri è stato ascoltato in aula il superpentito Atta Wehabrebi Nuredin, il primo collaboratore nella storia del traffico di migranti, che non ha riconosciuto nel detenuto alcun boss, affermando al contrario di non averlo mai visto.

«Il discorso che fanno dal canto loro i magistrati è che se dovesse venire liberato potrebbe scappare, per questo devono tenerlo in carcere – conclude il legale – Yedhego Medhanie Mered va preso e chiuso in galera, buttando la chiave. Ma Medhanie Tesfamarian Berhe è un povero disgraziato che non merita di stare dove sta. Solo qui in Italia il caso non è ancora esploso mediaticamente, in realtà è ampiamente seguito in Germania, Danimarca, Francia e anche negli Stati Uniti».

Silvia Buffa

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