Caso Mered, in udienza il confronto tra i due periti fonici «Voce imputato al 99% incompatibile con intercettazioni»

«Dall’analisi dei dati e alla luce delle risultanze ottenute, si può concludere che nessuna delle voci anonime riscontrate nelle intercettazioni esaminate sia compatibile con il saggio fonico rilasciato dall’imputato, con un livello di confidenza del 99%». Questa la conclusione scritta nella perizia fonica di Mirko Grimaldi, il professore di linguistica generale dell’Università di Lecce che, in qualità di perito fonico nominato dall’avvocato Michele Calantropo, per comparare la voce registrata nelle intercettazioni e attribuite al trafficante di uomini Medhanie Yehdego Mered con quella dell’imputato, che da oltre un anno dichiara di essere un rifugiato di nome Medhanie Tesfamariam Behre. Sia il professore Grimaldi che l’ingegnere Marco Zonaro, il perito nominato invece dall’accusa, partono da un assioma di partenza: che questo tipo di comparazione, che venga eseguita con un metodo oppure con un altro, è inficiata dalla mancanza di un’adeguata banca dati della popolazione di riferimento per la lingua tigrina.

Posto questo, l’accusa ha optato per il metodo automatico, Nuance, comparando prima il saggio fonico con tutte le telefonate intercettate nel 2014, successivamente il saggio fonico è stato comparato con quelle del 2016, malgrado siano in sottofondo disturbate da rumori. Zonaro, cioè, ha preferito confrontare tutto, per scrupolo, scartando eventuali risultati inutilizzabili. Un approccio che, non avendo a disposizione come campione il tigrino, ha ripiegato sull’egiziano, decisione bocciata invece dal tecnico della difesa, che in aula ne ha evidenziato le differenze a livello vocalico e consonantico, affermando che l’accostamento forzato equivalrebbe al «tirare una monetina». «Non posso confermare che sia lui, ma non posso neanche escluderlo con certezza», spiega dal canto suo Zonaro sul banco dei testimoni.

Opposto l’approccio della difesa, che invece ha seguito il metodo semiautomatico, basandosi sulla cosiddetta distanza di Mahalanobis, che implica l’individuazione di «una soglia sotto la quale i due campioni analizzati non sono uguali, non sono cioè attribuibili alla stessa persona». Solo la presenza di una banca dati a cui fare riferimento, secondo i due tecnici, può portare a un’evidenza scientifica vera e propria. In assenza di questa, il miglior risultato possibile è un’indicazione. Grimaldi ha comparato il saggio fonico solamente con tre intercettazioni del 2014, attribuite nelle informative e in Glauco II al boss Mered, scartando tutte le altre e in particolare quelle del 2016, perché inutilizzabili per via dei rumori in sottofondo e perché l’imputato stesso se le è sempre attribuite. Oltre al fatto che, non ricorrendo a un metodo di analisi automatico, l’operazione sarebbe stata molto dispendiosa a livello di tempo.

«L’imputato è stato fatto accomodare inuna stanzadel carcere di Palermo, e fatto sedere davanti allo schermo di un computer a cui erano collegate delle cuffie professionali fatte indossare all’imputato. Da un telefono fisso del carcere è stata fatta partire una telefonata su un cellulare messo a disposizione dell’imputato – si legge nella relazione prodotta dalla difesa -. Il telefono fisso era collegato a un sistema (Sistel srl) che permette la registrazione della telefonata direttamente su computer. Quindi la voce dell’imputato è stata registrata in formato telefonico (cellulare). Il software Praat è stato programmato in modo che estraesse a caso una serie di frasi dalle intercettazioni prese in esame e le riproducesse in formato audio attraverso gli altoparlanti collegati al pc. L’imputato, una volta ascoltata la frase in questione, la doveva ripetere nel modo più naturale possibile». Il risultato è «un’indicazione fortissima» che oltre il 99 per cento le voci comparate non siano della stessa persona. «Qualsiasi scienziato di fronte a questi risultati non potrebbe andare oltre».

Silvia Buffa

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