Caso Gulisano, dottoressa a processo per omicidio Morto dopo essere stato superato da altro paziente

Omicidio colposo. È con questa accusa che il giudice per l’udienza preliminare Pietro Currò ha rinviato a giudizio la dottoressa Rosaria Patamia, medica in servizio all’ospedale Santa Marta e Santa Venera di Acireale il pomeriggio del 18 maggio 2016. Cioè il giorno in cui, al pronto soccorso, arriva il 47enne di Riposto Antonino Gulisano. Sono le 14.49 quando in accettazione gli viene assegnato un codice giallo per un formicolio al braccio sinistro e un dolore al petto. Alle 17.35, quasi tre ore dopo, di Gulisano viene dichiarato il decesso per arresto cardiocircolatorio. La prima visita gli era stata fatta oltre due ore dopo il suo arrivo in ospedale. Un’attesa che, secondo la magistrata Magda Guarnaccia – che ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per l’imputata – è stata fatale per Gulisano. 

Per la procura, Patamia avrebbe agito con «grave negligenza» poiché non avrebbe «effettuato alcuna visita di accettazione ad Antonino Gulisano» e, anzi, avrebbe proceduto a «visitare e dimettere un altro paziente, giunto successivamente al pronto soccorso, al quale era stato assegnato il medesimo codice di urgenza». Ovvero quello giallo. La medica, che era stata sospesa dal servizio a seguito di alcune verifiche disposte dall’Azienda sanitaria provinciale, dovrà presentarsi in piazza Verga per la prima udienza il prossimo 11 giugno. A essere citata come responsabile civile nel procedimento giudiziario è l’Asp 3 di Catania. «Inizialmente nel registro degli indagati era stata iscritta anche un’altra dottoressa – spiega Vincenzo Iofrida, legale della famiglia Gulisano – Ma quella posizione è stata archiviata. Anche perché, come abbiamo sempre sostenuto, le responsabilità di quanto avvenuto andavano cercate altrove».

Nella relazione della dottoressa Veronica Arcifa, incaricata dalla procura di verificare il comportamento del personale dell’ospedale acese, si fa particolare riferimento agli orari di arrivo di Gulisano e di un altro paziente, arrivato con la propria automobile alle 15.17, cioè 28 minuti dopo Gulisano. «Un comportamento degno di severa censura professionale e deontologica – si legge nella consulenza – perché non è consentito né giustificabile che si alteri la priorità e la cronologia delle visite a parità di codice». Il presunto favoritismo nelle operazioni non riguarderebbe però solo Gulisano. Secondo quanto si legge nel documento il paziente giunto alle 15.17 e poi visitato alle 15.32, avrebbe scavalcato anche altre due persone, arrivate al pronto soccorso prima di lui – ma dopo Gulisano -. Tutte con il medesimo codice

Rispettando l’ordine d’arrivo e quindi visitando la vittima si sarebbero potuti apportare «i primi step diagnostici, fornendo la migliore assistenza possibile», continua Arcifa. Sottoponendo Gulisano a un normale esame previsto dalla procedura si sarebbe quindi potuto rilevare «precocemente il danno miocardico e quindi sarebbe stato possibile trasferirlo rapidamente nell’unità di terapia intensiva, dove lo si sarebbe potuto sottoporre al più adeguato trattamento che il caso richiedeva». Antonino Gulisano, invece, viene visitato soltanto quando le lancette segnano le 16.43. Ed è in una sala medica in attesa dei risultati degli esami quando la sua situazione peggiora: nonostante l’intervento di un cardiologo e del rianimatore, e nonostante l’uso di adrenalina e defibrillatore, il paziente muore. Adesso sarà il tribunale a stabilire se ci siano responsabilità. E, se sì, di chi.

Luisa Santangelo

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