Caro Presidente Monti, non ci ha convinto

Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato ad un altro ed assumere tra le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione. Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo, tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo, che ponga le sue fondamenta su tali principi e organizzi i suoi poteri nella forma che al popolo sembri più probabile possa apportare Sicurezza e Felicità. (Filadelfia, 4 luglio 1776)

 

No, Signor Presidente, Le non ci ha convinto! Nonostante i suoi modi sobri ed eleganti, la sua indyiscussa superiorità culturale, la sua statura scientifica e internazionale, Lei non ci ha convinto di poter essere in grado di portare il Paese fuori da quel baratro da cui asserisce di averci salvato. Nel corso della Conferenza Stampa di ieri il Professor Mario Monti, Senatore a vita e Presidente del Consiglio dei Ministri, ha dato dimostrazione, seppur con grande garbo ed ironia, di non aver in serbo per l’Italia vere misure per la crescita e per lo sviluppo. E’ d’altronde, non poteva e non potrà essere diversamente perché Monti, come Ciampi, ha un solo obiettivo eterodiretto: restare in Europa ad ogni costo, fosse anche a costo della riduzione in miseria del Paese, distruggendone finanziariamente e soprattutto psicologicamente ogni energia vitale.
E ciò viene perseguito secondo un’idea guida, incentrata ancora una volta su concetti economici del XX secolo, quali il Prodotto Interno Lordo, il Reddito Imponibile, il Debito Pubblico, il Fisco. Costrutti appartenenti ad un’economia monetarista che ha nella conservazione il proprio orizzonte e non si cura di quanto il mondo sia cambiato. Ne sono la dimostrazione i Paesi extraeuropei che, privi di questi vincoli culturali prima che economici, si stanno sviluppando con rapidità vertiginosa. E non mi riferisco alla Cina, i cui assetti di potere sono talmente anomali da formare un caso a parte, ma a Paesi democratici quali India e Brasile che si sono sintonizzati da tempo sull’onda di un’economia post industriale, codificando modelli di sviluppo audaci e che guardano al futuro.
Circondato da eminenti colleghi, sacerdoti attempati di una religione al tramonto, il Presidente Monti, con grande intelligenza ed onestà intellettuale, ci ha già detto cosa accadrà: cederemo quote crescenti di sovranità, ma non a vantaggio di qualcosa di più grande e di più bello, quale sarebbe stato il sogno di un’Europa “politica”, ma solo per mantenere uno stato di equilibrio finanziario e di protezione degli interessi di Francia e Germania, aspirando, come Italia, a far parte dell’ennesimo “cerchio magico” in cui certamente Berlusconi e, forse, lo stesso Prodi, non sarebbero mai potuti entrare. Come Cavour alla Guerra di Crimea o come Mussolini – più rozzamente e molto più ingenuamente – ancora una volta si pensa che basteranno un pugno di (milioni) di vittime per sedere poi al tavolo della vittoria.
Ma stavolta non sarà così perché il declino dell’Europa appare già evidente. E non si tratta solo di declino finanziario né di recessione economica, ma di vera e propria decadenza, come già sperimentammo con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, con la fine del Sacro Romano Impero o con il tramonto della Rivoluzione dei Lumi e il successivo avvento dei Nazionalismi. Come già per il cadavere di Tito, si sa che il Continente è morto e si fa di tutto per differirne la notizia, per dare tempo a nuovi equilibri di potere di riconoscersi e di consolidarsi, lasciando al proprio destino le zone dell’Unione più marginali e di minore interesse strategico.
In perfetta buona fede e con strumenti sofisticati nella tecnica ed eleganti nella forma, il governo Monti sa di avere il compito di chiudere una transizione ( o una transazione?) epocale. Quella che vedrà la nascita di un Europa a due o a tre velocità, tenuta insieme a forza con il vincolo dell’euro e con la minaccia di inenarrabili sventure che si scatenerebbero in caso di uscita dell’Italia dal sistema. Tutto ciò ha una logica, solo che non è la logica del mondo del verrà ma di quello che è stato.
Fatto questo e consegnato se stesso alla storia del Paese (Monti e molti degli esponenti del suo governo si guarderanno bene dall’accettare candidature di ogni genere) si lasceranno ai partiti, resi ormai inoffensivi dagli accordi europei blindati, le lische residue, restituendo ad una formale “dialettica democratica” il compito di disputarsele.
Non deve stupire che due oggetti politici probabilmente “barbari”e impolitici ma vitali quali la Lega e Italia dei Valori abbiano fiutato questa trappola, anche a costo di attirare le critiche dei benpensanti e di coloro che ritengono di “avere la testa sulle spalle”. Bossi e Di Pietro, ciascuno con il proprio stile e la propria (opposta) visione dell’Italia, hanno però in comune la saggezza di Bertoldo che ha il coraggio di non farsi intimorire dal potente Alboino e di opporvisi con naturalezza e senza giri di parole. Paradossalmente, la limitata cultura dell’uno e dell’altro partito permette a entrambi un ragionamento più libero, meno sofisticato e sicuramente più lucido, che muove dalla consapevolezza che nel mondo di Monti non ci sarà mai posto per loro.
Diverso è l’atteggiamento di Pd, Pdl e del cosiddetto Terzo polo, che sperano dall’appoggio a questo governo (a volte con i toni ‘mistici’ di Casini) di guadagnare qualche strapuntino nella “stanza dei bottoni”, non comprendendo, per l’arroganza e per la brama di potere che li distingue, che per essi, servi sciocchi, non vi sarà accesso neanche all’anticamera di quella…
Ciascuno di questi tre soggetti ha già pattuito i trenta denari: Berlusconi avrà le sospirate assoluzioni/prescrizioni e non soffrirà molto per l’asta delle frequenze; Bersani salverà il feticcio dell’articolo 18 e si presenterà, come peraltro accade con le mosche cocchiere suoi rappresentanti in Sicilia, come colui che ha mandato a casa Berlusconi; Casini, Fini e il patetico Rutelli, eterni “secondi” con il complesso di Carlo d’Inghilterra, ostenteranno il proprio senso dello Stato, mendicando la fatidica soglia per l’ingresso nel nuovo Parlamento.
E l’ Italia unita, partorita dal Risorgimento e dalla Resistenza? Morirà a 151 anni (non ci avremmo mai scommesso, vista la nascita prematura e lo sviluppo sbilenco) nel senso che, perduto ogni ruolo come Paese sovrano, a vantaggio di alcuni suoi illustri cittadini cui con il proprio sacrificio avrà spianato la strada verso il Nord Ovest (oggi evocato da Monti, novello Mercator) deriverà sempre di più verso il Sud, più che verso il Sud Est e chissà che non sia un bene.
Che fare allora? assistere a questo disegno di squisitissima fattura, affascinati dall’illusionismo provocato da quel soffice “good point” oggi rivolto da Monti al corrispondente del Wall Street Journal? L’Italia resterà immobile, incapace di accorgersi del destino di subalternità che l’aspetta? O avrà il coraggio di porre fine all’abbraccio mortale di chi, coricatosi la sera prima con una voluttuosa Circe, si trova avvinto la mattina dopo ad una mostruosa Erinni che gli divora il cuore? Avrà il coraggio di ammettere che non era questo il sogno europeo cui ha prestato per decine di anni le sue menti politiche migliori? Avrà la forza di scuotersi da un incubo che, ancorandola al passato, le ruba il futuro e la fa affondare nell’oblio? Sarà in grado, dimenticando le nobili ma ambigue parole di una Costituzione nata dal compromesso tra mondi inconciliabili, di riconoscersi in quelle, invece eterne, che rivendicano per ogni uomo e ogni nazione il diritto di ribellarsi a chi vuole sopraffarla, affrontando ogni rischio in nome del diritto di cercare la Felicità ?
Non lo so. Troppe volte l’Italia ha deluso se stessa, mentendo sul proprio passato, falsificando il proprio presente ed ipotecando il proprio avvenire. So soltanto che se dovessimo riuscire a ritrovare la nostra dignità, lasciando “questa” Unione economica al proprio destino, costi quel che costi, potremmo finalmente dirci popolo e non nazione ed avere titolo per costruire un mondo migliore di cui andare fieri nei confronti di un’Umanità non più divisa da confini, come sembrò, per qualche breve attimo, prima che nuovi e più alti muri fossero edificati, in quella indimenticabile notte del 9 novembre 1989.

 

Loris Sanlorenzo

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