Cara, muore al quarto mese di gravidanza Dimessa dall’ospedale il giorno prima

Era arrivata al Centro per richiedenti asilo di Mineo lo scorso agosto insieme al marito e da quattro mesi aspettava un bambino. Teksa Abraha, eritrea, 28 anni, ieri sera è morta mentre veniva trasportata d’urgenza dal Cara all’ospedale di Caltagirone. Solo due giorni fa era stata dimessa dall’ospedale Ferrarotto di Catania dove le era stato diagnosticato un aneurisma all’aorta. Sulla vicenda il procuratore capo di Caltagirone, Francesco Paolo Giordano, ha aperto un’inchiesta che non vede al momento nessun indagato e ha disposto l’autopsia. La morte della donna è il quarto caso accertato di decesso di migranti ospitati al Cara di Mineo per motivi di salute. In particolare sempre all’ospedale Ferrarotto nel novembre del 2011 era morto Mujahid Alì, pakistano di 36 anni, dopo un intervento di angioplastica.

Teksa Abraha si è sentita male due giorni fa e, come sempre avviene in questi casi, è stata portata dalla Croce Rossa presente nell’ambulatorio del Cara, all’ospedale di Caltagirone, ma i medici hanno preferito trasferirla al reparto cardiologia del Ferrarotto di Catania. A questo punto la versione dei fatti data dall’ospedale diverge da quella del marito. «Secondo noi Teksa è morta per una mancanza di attenzione da parte dei medici», ha dichiarato all’Ansa Chaui Muhur, il trentenne coniuge di Teksa. «Si era sentita male e l’abbiamo portata in ospedale. Dopo che è stata dimessa si è sentita male di nuovo. Abbiamo chiamato un’ambulanza per portarla in ospedale e dopo un quarto d’ora è morta», spiega Muhur.

Dal reparto di terapia intensiva del Ferrarotto precisano che «la paziente è giunta alle 23.30 del 5 gennaio scorso asintomatica per toracoalgie, ed è stata sottoposta dal personale medico di turno ad ecocardiogramma trans-toracico e trans-esofageo, esami che escludevano segni ecocardiografici riferibili a dissezione aortica». Significa che Teksa, nonostante le avessero diagnosticato un aneurisma all’aorta, non avrebbe manifestato dolori al torace e dai risultati dell’ecocardiogramma non si ipotizzava una possibile rottura dell’aorta. Nonostante questo, precisano dall’ospedale catanese «il personale medico di turno riteneva opportuno trattenerla in unità di terapia intensiva coronarica per ulteriori indagini e monitoraggio dei parametri clinici ed ematochimici». Domenica, riferiscono dal Ferrarotto, i parametri clinici, ematochimici ed ecocardiografici si sono mantenuti stabili. Quindi «in assenza di sintomi, per il rischio di radiazioni in terapia intensiva per lo stato di gravidanza della paziente, i medici ieri hanno deciso di dimetterla con indicazione a controlli ecocradiografici periodici». Teksa è uscita dall’ospedale catanese ieri pomeriggio alle 16 sulle sue gambe. Qualche ora dopo il malore fatale e la corsa inutile all’ospedale di Caltagirone.

A novembre Mujahid Alì, trentaseienne originario di Lahore, la seconda città del Pakistan era morto al Ferrarotto dopo un intervento di angioplastica. Secondo l’allora direttrice del Cara, Gabriella Salvioni, il ragazzo non superò «la terapia intensiva post-intervento». Altri due casi si sono registrati nel marzo scorso. Keita Abdoulaye, 27 anni, del Mali, entrò in coma dopo una colluttazione con un altro ospite. Portato al pronto soccorso di Caltagirone, gli avevano dato un giorno di prognosi. Poco dopo il malore. Nello stesso periodo è morto Anthony Yeboah, 22 anni, originario del Ghana. Anche in questo caso, c’era stato un primo viaggio dall’ambulatorio del Cara all’ospedale calatino, da cui, dopo alcuni controlli, era stato rispedito indietro. Per i medici si trattava solo di un’ubriacatura. Quindi un nuovo ricovero perché i medici del Cara avevano riscontrato dei problemi neurologici. Qualche ora dopo la notizia della morte, dovuta, si apprenderà a distanza di tempo, ad un’ischemia cerebrale.

Salvo Catalano

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