Un nuovo ripensamento. Arriva dai corridoi del tribunale di Messina la notizia che potrebbe rappresentare un’importante novità in vista della ripresa del processo al santone Pietro Capuana. Il 76enne che per decenni ha guidato la comunità di Lavina, nel territorio di Aci Bonaccorsi (Catania), è accusato di avere abusato sessualmente di numerose ragazze, all’epoca dei fatti minorenni. Rapporti, secondo l’accusa, fatti passare per riti purificatori in quanto Capuana si consideva la reincarnazione dell’arcangelo. Ad accusarlo sono diverse presunte vittime e a loro da qualche settimane se n’è aggiunta un’altra.
In realtà si tratta di una giovane che, pochi mesi dopo l’arresto di Capuana e delle sue tre principali collaboratrici, aveva cambiato versione, ritrattando ogni accusa precedentemente raccolta dai magistrati. «Mi sono sentita pressata perché io cercavo di dire la verità, cercavo di dire la mia e lei mi diceva che la prendevo in giro», aveva detto la ragazza, oggi maggiorenne, alla magistrata titolare dell’indagine 12 Apostoli. Parole utili a riabilitare l’immagine di Capuana ma che, scontrandosi con quanto precedentemente dichiarato e soprattutto con le intercettazioni in mano agli inquirenti, le erano costate l’accusa di calunnia da parte della procura di Catania che ha chiesto l’invio dei verbali a Messina. Dove la giovane, da qui a breve, potrebbe essere processata. Tale possibile epilogo nelle passate settimane ha spinto la ragazza a ravvedersi. «Abbiamo chiesto al pm un’integrazione delle indagini e la possibilità di essere ascoltati prima dell’inizio del processo», chiosa a MeridioNews la legale che la segue.
Un ritorno sui propri passi che, guardando al processo a Capuana, darà all’accusa e agli avvocati delle parti civili la possibilità di rafforzare le proprie tesi. A partire dalla contestualizzazione, lontano dalle metafore, di alcune frasi che il santone scambiava con le ragazzine durante le numerose occasioni in cui trascorrevano del tempo da sole con lui. Semplici incontri amicali all’interno di una comunità unita, secondo la difesa. Circostanze organizzate per abusare della fiducia riposta nell’anziano che assicurava di custodire in sé lo Spirito santo, per l’accusa. «Due o tre volte, Capuana mi ha fatto entrare nella sua stanza da letto o nel suo studio e mi ha chiesto di spogliarlo e di spogliarmi a mia volta, ma io ho sempre rifiutato», aveva detto la giovane ai magistrati ad agosto 2017. Quella ricostruzione, tre mesi dopo, si era trasformata in una parabola sull’aprire il cuore l’uno all’altro. «Come se fosse mio nonno, un amico», aveva aggiunto la ragazza per spiegare alla giudice il motivo di tutti quei «ti amo» inviati e ricevuti sul cellulare.
Allo stesso modo, l’attenzione tornerà sul messaggio inviato da Capuana in cui il santone si soffermava sui «jeans strappati pazzeschi» indossati dalla ragazza e la invitava a farsi bella «con il piacere di starti vicino». Parole che nel secondo interrogatorio la presunta vittima aveva giustificato parlando di un possibile scherzo di un’amica. «Non è lui che manda i messaggi perché non ne sa mandare, alla fine è sempre una persona di settant’anni», aveva detto la giovane ai magistrati. Versione che adesso si sarebbe decisa a tornare a modificare.
Nei giorni scorsi, intanto, è ripreso il processo all’ex assessore regionale Mimmo Rotella e al sacerdote Orazio Caputo, entrambi accusati di favoreggiamento personale. Il primo è marito di Rosaria Giuffrida, a giudizio nel procedimento che coinvolge Capuana, insieme alle altre collaboratrici Fabiola Raciti e Katia Scarpignato. Durante l’udienza gli avvocati delle difese hanno ottenuto l’estromissione delle associazioni che si era costituite parti civili, mentre si è riservata di esprimersi sull’utilizzo delle intercettazioni.
Di recente a festeggiare un’estromissione dal processo è stata l’Associazione cattolica cultura ambiente, che gestisce il cenacolo di Lavina e che, dopo l’inchiesta, ha formalmente preso le distanze da Capuana, sottolineando come il santone non fosse altro che uno dei soci. Per il tribunale, l’associazione non può comparire come responsabile civile nei confronti delle parti civili, all’interno del processo penale, in quanto non ha preso parte dal principio all’istruttoria. «Tengo a ribadire con immensa gioia e soddisfazione la valenza dell’associazione che da cinquant’anni si prodiga nel sociale, promuovendo la crescita spirituale e umana delle famiglie, degli ammalati, dei poveri e sofferenti», ha dichiarato la presidente Maria Teresa Bonanno. A prendere posizione contro l’Acca è stata anche la diocesi di Acireale, con il vescovo Antonino Raspanti che aveva dichiarato l’assenza di legami con la Chiesa. Ufficiali o meno, però, i contatti tra la comunità e Capuana e la diocesi di Acireale affondono le radici nel passato. Agli anni Settanta, quando nella chiesetta di Lavina c’era don Stefano Cavalli. Per anni padre spirituale di tutta la comunità e, secondo l’allora vescovo Pasquale Bacile, troppo morbido nei confronti di Capuana che, già a quel tempo, aveva iniziato a ritagliarsi un’autonomia che aveva portato a «fatti particolarmente gravi sul piano dottrinale, morale e disciplinare».
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