Capuana e quegli otto anni di «amore dall’alto» Le storie delle sei giovani che hanno denunciato

Atti di «amore dall’alto». Così le ragazze che si sono rivolte ai magistrati descrivono il modo in cui Pietro Capuana definiva le pratiche sessuali che avrebbe loro rivolto, ancora minorenni. Una vicenda che ha portato all’arresto di Capuana, vertice dell’associazione cattolica Cultura e ambiente, insieme a tre donne: Rosaria Giuffrida, indicata dalle giovanissime come colei che predisponeva i turni settimanali, dalla durata di 24 ore, a casa dell’uomo; Fabiola Raciti, incaricata di convincerle a «provare quella esperienza mistica» e a rassicurarle; Katia Scarpignato, vice di Raciti secondo l’organizzazione delineata dalle sei testimoni. Un «plagio di massa fondato su argomentazioni di carattere religioso», spiega il gip che ha disposto l’arresto dei quattro. Le sei, oggi giovani donne, all’epoca dei fatti raccontati – dal 2008 all’estate 2016 – avrebbero avuto dagli 11 ai 17 anni. Sei storie diverse tra loro e lontane anche nel tempo – alcune durate un anno, altre anche sette – ma che raccontano una procedura sempre uguale. Emersa quando la più piccola del gruppo decide di aprirsi con la madre. La signora, a sua volta, coinvolge un’altra famiglia. Da lì alle altre quattro, alcune lontane dalla comunità già da anni, il passo è breve.

Le sei storie cominciano quasi tutte allo stesso modo. Una bambina si avvicina all’associazione spinta dalla profonda spiritualità. All’inizio prende parte per lo più ai momenti comunitari: la messa, la locuzione di Capuana – «una sorta di commento al vangelo», quello che generalmente è inteso come lectio – al cenacolo di Aci Bonaccorsi, la festa da ballo che seguiva. Momento, quest’ultimo, in cui si sarebbe svolto il primo approccio. Come nel caso di S., che racconta di essere stata palpeggiata da Capuana proprio durante un ballo. Sempre alle feste danzanti, riportano le ragazze, non sarebbe stato inusuale vedere l’uomo allontanarsi nei suoi spazi privati con alcune giovanissime al seguito. E sempre in quelle occasioni sarebbero avvenuti gli inviti a partecipare ai «turni» a casa del «pervaso dallo Spirito Santo». Nelle parole delle giovani, si trattava di 24 ore trascorse in una delle residenze di Capuana – quella principale a Motta Sant’Anastasia, quella al mare a Fondachello e quella in montagna a Bronte – dove veniva richiesto loro di occuparsi delle faccende domestiche. «Lavare, cucinare e, durante lo svolgimento di queste incombenze – racconta N. – Capuana mi chiamava e si chiudeva insieme a me nello studio o nella camera da letto, dove si faceva spogliare, mi diceva di spogliarmi e mi toccava». Racconto che, come quello delle altre testimoni, scende nel dettaglio delle pratiche sessuali che si sarebbero consumate. «Quando la moglie non c’era, Capuana mi chiedeva di dormire con lui la notte», aggiunge una delle presunte vittime. 

E proprio nello studio di Capuana sarebbero avvenute tutte le prime molestie. Stando ai loro racconti, quando le ragazze andavano per il primo turno, ad accoglierle trovavano più persone. Poi, dopo una chiacchierata introduttiva, venivano invitate da Capuana nel suo studio, dove le approcciava. Quando qualcuna opponeva resistenza, specie le più giovani, il santone avrebbe chiesto l’intervento di Fabiola Raciti. Che avrebbe spiegato loro l’«amore dall’alto» e chiesto di mettersi a disposizione di Capuana. Per prestazioni sessuali anche di gruppo. Il tutto sarebbe stato organizzato con uno schema preciso: i «turni», appunto, predisposti – secondo le testimonianze e i riscontri degli inquirenti – da Rosaria Giuffrida, che si sarebbe occupata anche di andare a prenderle a casa, portarle da Capuana e, dopo 24 ore, riaccompagnarle. La donna avrebbe anche tenuto il conto dei loro cicli mestruali, per esonerarle dalla turnazione in quei giorni del mese. 

Rapporti fisici, ma ammantati di spiritualità, e amore che spesso sfociava nel possesso. Quando le cose andavano bene, Capuana avrebbe fatto alle ragazze piccole regalie di poche decine di euro. Ma quando qualcuna voleva allontanarsi o sembrava non piegarsi a sufficienza, veniva chiamato in causa «il diavolo che voleva portarmi via», raccontano. Oppure sarebbero cominciate le telefonate anche a tarda notte e gli appostamenti sotto casa delle giovani. «Era solito picchiarmi quando disobbedivo alle sue richieste, mi obbligava a non depilarmi perché a lui piaceva così – spiega ancora N. – mi imponeva regole come non incontrare il mio ragazzo più di una volta a settimana e non intrattenere rapporti con persone di Motta perché c’erano dicerie sul suo conto». 

Un sistema rigido, in cui sarebbero state previste anche multe – in un caso da cento euro – per i membri della comunità che sgarravano. E anche un sistema di controllo delle giovani. Centinaia di lettere e bigliettini ritrovati dalle forze dell’ordine in cui le giovani si rivolgevano a Capuana come «il mio uomo», «amore mio» e giuravano di «proteggerlo da tutto il male», in qualche caso esplicitando anche la natura del rapporto che li legava. A costringerle a scrivere le missive, secondo le testimonianze, erano sempre le collaboratrici del santone, utilizzando anche le missive come armi di ricatto per chi voleva allontanarsi dalla comunità.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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