Capo, i retroscena svelati dalla nonna della vittima «Testimone della lite, voleva sparare a Lo Presti»

«Dovevamo ammazzarne uno prima. Loro stanno cercando di comandare qua». Sembrerebbe la frase di uno spietato killer rammaricato per un delitto mai commesso. Invece no, a parlare così è l’84enne Teresa Paceintercettata durante un colloquio in carcere il 29 agosto con il figlio detenuto Silvio Bertolino. È proprio lei che fornisce gli ulteriori tasselli per ricostruire la dinamica dell’omicidio avvenuto alle otto del mattino di due settimane fa al CapoA morire è un fruttivendolo di 30 anni, ma non uno qualunque. È Andrea Cusimano, suo nipote. «Io sabato neanche c’ero», dice. Ma non è vero. Perché è proprio lei a raccontare le fasi immediatamente precedenti al delitto, a parlare della lite delle 7.30 con i Lo Presti, il padre Giovanni e il figlio Calogero Piero, in carcere con l’accusa di favoreggiamento aggravato il primo e di omicidio premeditato il secondo. È sempre lei che racconta dei suoi propositi di vendetta per l’aggressione al nipote, prima ancora che venisse ucciso.

Dalla sua abitazione, che si affaccia proprio sull’ingresso dello storico mercato, sente delle urla. Affanciandosi dal terrazzo, poi, vede i Lo Presti sferrare una coltellata al volto del nipote. E pensare che lui non era nemmeno quello che stavano cercando. La discussione di quel sabato mattina, infatti, è solo lo strascico di una precedente avvenuta la sera prima in Vucciria, ma con il fratello della vittima, Francesco Paolo Cusimano. Un confronto acceso anche quello, che fa alzare i toni ma anche le mani. Lo Presti senior infatti si becca uno schiaffo in pieno volto da Cusimano, un affronto che si legherà al dito fino al giorno dopo. «La lite è stata causata da uno scontro di interessi fra le due famiglie», spiegano infatti gli inquirenti. «Vogliono comandare», ribadisce la donna a colloquio col figlio, che cerca di tranquillizzarla: «Ma no mamma, cosa dici, non è così», e il riferimento dei due è a uno sgarro già avvenuto in passato. Un episodio che fa rammaricare l’84enne per non aver preso decisioni drastiche già tempo prima.

Decisioni che, solo mezzora prima della morte di Andrea lì fra i pesci e la frutta delle bancarelle del Capo, aveva finalmente voluto prendere. Una scelta d’impeto la sua. Osserva il volto pieno di sangue del nipote, torna dentro casa, fruga tra i cassetti, afferra una pistola e scende di corsa in strada. È pronta a vendicare quell’affronto, ma viene subito fermata. Solo qualche ora dopo starà seduta proprio tra quelle bancarelle, a piangere in silenzio, nell’indifferenza generale del mercato. Una testimone oculare divenuta quasi una nonna killer, una vendicatrice improbabile. O forse neanche troppo. E mentre ripercorre le fasi di quella mattina di fine agosto, inconsapevolmente intercettata, mostra al figlio anche i lividi ancora ben visibili sulle sue braccia dovuti al violento placcaggio subito quando era apparsa a porta Carini con un revolver in mano, che durante la perquisizione di stanotte in casa sua però non è stato ritrovato.

Una famiglia, quella di Teresa Pace, da anni in contrasto con quella, forse più in nota in fatto di cronaca, dei Lo Presti, un cognome legato a un’eredità criminale e mafiosa di un certo spessore. È madre di 14 figli Teresa, tra cui Maria, la mamma di Andrea Cusimano, e Salvatore, protagonista con la sua famiglia di una docusoap realizzata a mo’ di reality e andata in onda nel 2008 su Rai3. Davanti alle telecamere l’uomo racconta senza imbarazzo della sua infanzia difficile: l’incidente che a undici anni lo fa finire sotto a un camion, alla Kalsa, che gli spappola la gamba sinistra, la corsa all’ospedale dei bambini e i quasi 800 punti che lo deturpano e, infine, la cancrena due anni dopo che costringe i medici all’amputazione. Ha solo tredici anni, ma quel pacchetto di sofferenza basta a fargli pensare che non ci sia alternativa a quella vita. Poi l’idea: diventare un mafioso, ma non un picciotto qualsiasi, uno come quelli di un tempo, un padrino di quella mafia antica, quella che «aiutava le persone e discuteva le situazioni». Diceva così, e da quel momento trascorre buona parte della sua vita in galera. 

Silvia Buffa

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