La spazzatura, a Catania, non la vuole toccare nessuno. Non se ne vuole più occupare Ecocar – commissariata da qualche giorno dopo un’interdittiva antimafia arrivata a fine gennaio – che non intende accettare una nuova proroga alla gara-ponte in scadenza alla fine di marzo. Non vogliono averci a che fare altre aziende, tant’è che nessuna ha partecipato ai tre bandi di durata settennale pubblicati dal Comune di Catania. Certo, c’è sempre Senesi. Che nelle ultime ore, pure lei, è stata commissariata dalla prefettura di Fermo ed è in attesa del pronunciamento del Tar delle Marche sull’interdittiva antimafia che le è capitata tra capo e collo, dopo quella notificata il 28 novembre: erano i giorni del blitz Gorgoni della procura etnea e Rodolfo Briganti, amministratore delegato dell’azienda, finiva agli arresti domiciliari per corruzione.
«Purtroppo questi problemi di Senesi mi sono finiti sulle spalle», dichiara a MeridioNews Antonio Deodati, proprietario della romana Ecocar. «Ai tempi della prima interdittiva, quella di novembre, io avevo chiesto al Comune di Catania l’allontanamento di Senesi a norma di legge. Cioè l’applicazione dell’articolo legislativo che prevede, per le aziende interdette per mafia, lo scioglimento del contratto, o la sostituzione della ditta. Ma il Comune non ha dato seguito alla mia richiesta, perché nel frattempo Senesi era amministrata da un commissario della procura – continua Deodati – Poi c’è stata la seconda interdittiva, estesa anche alla mia azienda. Manderemo nelle prossime ore una comunicazione ufficiale all’amministrazione catanese: non vogliamo continuare con la gara-ponte. Non vogliamo che venga prorogata ancora».
Che la storia sia intricata è facile intuirlo. La matassa di bandi pubblici e provvedimenti prefettizi si fa ancora più fitta a novembre 2017. Un’inchiesta della magistratura catanese accende i riflettori su un presunto sistema di corruzione che coinvolge gli amministratori del Comune di Aci Catena, i clan Cappello e Laudani e le imprese che si occupavano della munnizza catenota. Tra queste anche Senesi, il cui rappresentante legale finisce accusato di corruzione. Senesi viene sequestrata e per amministrarla viene chiamato un commissario giudiziale. In quei giorni, viene notificata all’impresa una prima interdittiva antimafia: 16 dipendenti con precedenti penali fanno calare la scure dell’ufficio territoriale del governo. E ancora niente si sapeva del fascicolo Gorgoni sulle scrivanie dei magistrati catanesi. Con il sequestro e l’impresa che viene gestita dallo Stato, l’interdittiva viene temporaneamente sospesa. Ma rinnovata quando Briganti viene scarcerato.
Per farla più semplice: quando l’amministratore delegato di Senesi torna in libertà, la prefettura di Fermo emette una nuova interdittiva antimafia per evitare che possa riprendere in mano l’azienda. La seconda volta, però, alle contestazioni nei confronti dell’impresa aggiunge la questione della presunta corruzione di Ascenzio Maesano. Per quasi due mesi, tuttavia, la situazione rimane invariata. Fino a ieri, quando dalle Marche arriva la nomina di un commissario, nell’attesa del pronunciamento del tribunale amministrativo regionale marchigiano su una richiesta di sospensiva inviata dai legali di Rodolfo Briganti. Alla base della difesa di quest’ultimo, ci sarebbe la decisione del tribunale del Riesame che dispone la scarcerazione, a metà dicembre, dello stesso Briganti. Contemporaneamente declassando l’accusa da corruzione a istigazione alla corruzione.
In mezzo a tutto questo c’è sempre Catania e il mini-bando gestito, insieme, da Senesi ed Ecocar. Così l’interdittiva antimafia della prima viene allargata anche alla seconda. «Speravamo di non finire coinvolti anche noi. Per questo abbiamo chiesto l’allontanamento di Senesi – precisa Antonio Deodati – Abbiamo fatto richiesta di accesso agli atti e venerdì sono stato, con i nostri avvocati, in prefettura: come immaginavamo, questa nuova interdittiva non ci riguarda direttamente». Ma la collaborazione tra le due imprese potrebbe protrarsi ancora a lungo.
Il mini-bando di cui tanto si è discusso – quello fatto dal Comune di Catania tra Natale e l’Epifania dell’ormai lontano 2016/2017 – aveva una durata di 106 giorni, prorogabili per altre due volte e, comunque, fino all’aggiudicazione della gara d’appalto settennale. Cosa che sembra essere di là da venire. «In quel bando c’è un conteggio del tutto sbagliato: si perdono almeno sette milioni di euro all’anno, e il Comune lo sa – prosegue Deodati – Noi abbiamo scritto più volte, è ovvio che non partecipi nessuna azienda. È un difetto che non può più pesare sulle mie spalle».
Anche Ecocar, però, è sotto il controllo dei commissari prefettizi. Per cui la decisione finale sul da farsi non spetta certo a Deodati, bensì agli amministratori messi lì dallo Stato. «Noi daremo loro il nostro consiglio, e metteremo per iscritto che non vogliamo alcun ulteriore rinnovo», conferma il proprietario. È lo stesso Deodati a ricordare come la situazione sia clamorosamente simile a quella lasciata dal raggruppamento temporaneo d’imprese che, prima del duo Sen.Eco, aveva in mano i rifiuti di Catania: Oikos e Ipi. «I commissari hanno lasciato Ipi, l’azienda di mio padre, indebitata – conclude Deodati – Io voglio ritirare le mie strumentazioni e uscire da questa situazione. Visto che i tempi per una nuova gara settennale e la successiva aggiudicazione, evidentemente, non ci sono, il Comune ha una sola opzione: faccia un’altra mini-gara, dia la possibilità di partecipare a tutte le aziende che vogliono. Magari partecipiamo anche noi».
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