Adesso che Paolo Cugno è in carcere, l’attenzione sulla morte della giovane Laura Petrolito si sposta su una domanda: si poteva evitare? Telecamere e microfoni di media regionali e nazionali sono arrivati a Canicattini Bagni già a partire dal tardo pomeriggio di domenica. Facendo a gara per intervistare Andrea Petrolito, il padre della ventenne assassinata dal compagno. «Ho cresciuto mia figlia da solo da quando aveva due anni – ha detto il genitore a Pomeriggio 5 – e gli assistenti sociali non mi hanno mai aiutato. Lui – dice riferendosi a Cugno – era violento, violentissimo e l’assistente sociale lo sapeva, perché mia figlia andava sempre a dire che lui la menava e la minacciava. Ma i servizi sociali se ne sono fregati».
Accuse pesanti che non troverebbero al momento riscontri, né alla Procura di Siracusa che indaga sul caso – «non ci risultano formali segnalazioni sulle violenze né ai servizi sociali, né ai carabinieri, ma le verifiche continuano», spiega il procuratore capo Paolo Giordano – né al Comune di Canicattini, dove lavora un’unica assistente sociale, la dottoressa Lucy Scuderi. «Non posso dire nulla, ho solo il dovere di tutelare i minori coinvolti in questa storia», si limita a precisare a MeridioNews. Chi invece parla è la sindaca Marilena Miceli. «Appena ho saputo delle dichiarazioni del padre mi sono attivata per verificare – spiega – Nella nostra documentazione non c’è nessuna denuncia, nessun atto che parli di violenza sulla povera Laura. E neanche informalmente l’assistente sociale è stata informata, altrimenti avremmo subito operato in sinergia coi carabinieri».
Laura Petrolito viene seguita dai servizi sociali comunali sin da quando era una bambina. Segnalata la prima volta dalla scuola, viene inserita nei progetti di educativa domiciliare, cioè percorsi che mirano a un sostegno educativo del minore e della sua famiglia nel proprio ambiente di vita. E infatti in questa prima fase, l’intervento (formalmente un aiuto per i compiti a casa) è rivolto tanto a Laura, quanto al padre Andrea che si occupa da solo di crescere la sua unica figlia, continuando a lavorare in campagna con orari difficili da conciliare con la vita di una minore. Inoltre per alcuni anni Laura viene inserita anche fra i bambini che possono frequentare il centro estivo gratuitamente per completare un processo di integrazione con altri coetanei.
In piena adolescenza la giovane abbandona il percorso scolastico e dal piccolo paese di provincia si trasferisce a Siracusa, dove convive in affitto con il suo primo compagno, da cui ha un figlio. Il bambino oggi ha tre anni ed è affidato alla nonna paterna. Nonostante la giovane non risieda più nel territorio canicattinese, i servizi sociali del Comune decidono di continuare il percorso di affiancamento con un operatore, andando oltre i propri obblighi considerato che, essendosi trasferita, Laura non rientrerebbe più nel loro raggio di azione. Nel frattempo, la ragazza viene pure ospitata in alcune comunità per minori della provincia di Siracusa dalle quali, però, sceglie liberamente di andare via.
Adesso il padre sostiene che «lei aveva chiesto recentemente a un assistente sociale di andare a vivere in una delle comunità dove era già stata, ma le è stato risposto che avrebbe dovuto continuare a vivere in quella abitazione». «Quella abitazione» sarebbe la casa dove abita Paolo Cugno, il suo assassino, insieme alla famiglia. «Se questo assistente sociale avesse fatto il suo lavoro in modo giusto, adesso Laura sarebbe ancora viva», si sfoga il padre. Tuttavia entrare in una comunità da adulta, di norma, è possibile per ragazze madri che lasciano il compagno o per donne che denunciano le violenze subite e vengono inserite in una struttura protetta. Ma Laura non sarebbe rientrata in nessuno dei due casi. Così, diventata maggiorenne, non sarebbe stata più seguita come prima. I servizi sociali sono obbligati da risorse sempre più esigue a fare una gerarchia di priorità: a Canicattini per esempio ultimamente all’educativa domiciliare si è sostituita l’istituzione di alcune borse lavoro destinate ai capi famiglia di nuclei in difficoltà economica.
Sarebbe servita in questo caso una legge che permetta alle forze dell’ordine di intervenire anche senza una denuncia formale della vittima di violenze? «Il problema non è fare nuove leggi – risponde Pina Ferraro Fazio, fondatrice del centro antiviolenza Thamaia di Catania che ogni anno segue circa 450 donne vittime di violenza – ne abbiamo già tante, le soluzioni ci sono da più di 30 anni. È invece un problema culturale, un fenomeno multidimensionale. Serve lavorare a più livelli: nelle scuole, con i bambini e le bambine, spiegando cos’è il rispetto e la dignità, nella pubblicità, nel linguaggio, per la destrutturazione di stereotipi e pregiudizi di genere; serve applicare le normative che già esistono e fare in modo che tutti le conoscano; serve lavorare sulla formazione continua di tutte le professioni per far sì che nessuno – poliziotto, avvocato, giudice, medico, parente – minimizzi di fronte a una violenza; e serve uno scambio di informazioni snello tra i soggetti del territorio: tra le scuole, i servizi sociali e le forze dell’ordine. Altrimenti – conclude – di fronte al prossimo caso di violenza, si continuerà a pensare che non succederà mai niente di grave, non alla persona che si ha davanti, forse ad altre donne, magari a quelle più deboli».
Intanto stasera a Canicattini si terrà una fiaccolata in memoria di Laura Petrolito, promossa dalle persone più vicine alla giovane uccisa e dall’amministrazione comunale. In un primo momento le forze dell’ordine avevano suggerito di rinviare l’evento in modo da stemperare la rabbia che cova in paese. Ma alla fine la fiaccolata si farà, l’appuntamento è per le 21.
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