Cani abbandonati, in estate sono più di 300 «Li bendano per non farli tornare indietro»

«Qualche giorno fa, nei pressi della rotonda di San Nullo, c’era un rottweiler taglia gigante che sbatteva contro i pali e rischiava di finire continuamente sotto le ruote delle macchine: pesava circa 80 chili, era piuttosto anziano e, soprattutto, cieco». Quando un cane soffre di cataratta, operarlo può costare anche alcune migliaia di euro, «abbandonarlo è più facile, e indubbiamente più economico, anche se è un reato penale». Maurizio Catania è il coordinatore del Progetto animali del Comune di Catania. A lui arrivano, partendo dalla polizia municipale, le denunce relative a cani randagi e abbandonati in città. «Negli ultimi due mesi ci sono state circa 200 segnalazioni di cucciolate e un centinaio di ritrovamenti di adulti», per un totale di 300 cani abbandonati. «Ovviamente – prosegue Catania – si tratta di stime al ribasso».

L’estate è la stagione degli abbandoni per eccellenza. Nonostante le campagne istituzionali di sensibilizzazione e il lavoro delle associazioni animaliste, il risultato non cambia. «Li legano coi guinzagli in autostrada, li buttano nelle statali, bendati affinché perdano il senso dell’orientamento e non siano in grado di tornare a casa, se sono cuccioli li annegano o li sotterrano ancora vivi». Piuttosto che darli in adozione o portarli nei canili, le pratiche messe in atto dai catanesi per disfarsi degli animali non voluti sono agghiaccianti. «Se ci fossero pezzi di terra in pieno centro, garantito che troveremmo delle cucciolate seppellite anche lì», prosegue Catania.

«In realtà, quello dei cani non è un problema che qui si pone solo d’estate», precisa Linda Strazzeri, dell’associazione L’altra zampa. «Il fatto è che non se ne parla perché siamo pieni di randagi e un animale per strada non si nota, cosa che invece avviene al Nord». Le stime oscillano tra i 3600 e i 4000 cani di strada, a Catania e provincia. «Il territorio etneo si presta particolarmente al randagismo – afferma Carmelo Macrì, direttore del Servizio igiene urbana veterinaria dell’Asp – L’alternanza tra le abitazioni e la campagna, la sciàra, fa sì che i cani abbiano abbastanza da mangiare e spazi aperti molto ampi in cui vivere». Il cane, del resto, «è un animale sociale, tende a fare branco, a difendere il territorio e a riprodursi quando può». Librino e San Giorgio, in questo senso, sono i quartieri ideali. E, di conseguenza, quelli più affollati.

«Noi volontari lavoriamo in strada – continua Linda – Siamo abituati a vederne di tutti i colori». Come quella femmina di due anni e mezzo che vagava per il centro cittadino, e, appena la volontaria animalista ha accostato e aperto la portiera della macchina per vedere come stesse, è saltata in auto e non è voluta più scendere. O quella cucciola di tre mesi che è stata lasciata vicino a un branco di randagi ed è stata quasi sbranata. «Adesso è a casa mia – racconta la donna – Ha il bacino fratturato, la sto curando». «Molte persone sono convinte che lasciare un cane vicino a un branco lo aiuterà a trovarsi meglio, invece non è così – sostiene – Il branco non accetta facilmente i nuovi arrivati che, spesso, finiscono sbranati o uccisi da una macchina mentre scappano». In alcuni casi, poi, per togliere un animale dalla strada bisogna pagare: «Una collega ha visto una cagnetta legata con una corda, dalle parti di Misterbianco. Pare sia quella del posteggiatore abusivo che, però, non la cura». Linda Strazzeri ha chiesto al parcheggiatore di poterla portare con sé, «lui mi ha chiesto 50 euro, e io glieli darò: che posso fare? Lasciare quel cane morire in mezzo alla strada perché quello che l’ha trovato non è in grado di occuparsene?».

«Un cane randagio non è un cane di nessuno, è un cane del Comune», puntualizza Macrì. Per questo, la procedura per chi ne trova uno è standard: «Bisogna denunciare il ritrovamento alla polizia municipale, affinché venga verbalizzato – spiega Strazzeri – Poi, in teoria, bisognerebbe andare all’Asp per lasciare il cane in ricovero, infine dovrebbero intervenire le associazioni per la ricerca delle adozioni».  «La parte del ricovero a Catania non si può fare perché non abbiamo canili sanitari – dice Carmelo Macr젖 Cioè posti in cui l’animale sta per il tempo necessario delle cure e poi va via; abbiamo solo convenzioni per canili rifugio, ovvero luoghi per la lunga degenza, all’interno dei quali un cane può restare per tutta la durata della sua vita».

Quella dei canili convenzionati, però, «è una situazione complicata». «Quando una sola struttura accoglie oltre 600 animali – dichiara la volontaria di L’altra zampa – o ci sono almeno 25 persone che ci lavorano dentro a tempo pieno oppure la situazione è terribile. E con una scusa qualunque noi attivisti veniamo sempre tenuti fuori dai cancelli». Questa la ragione per la quale, piuttosto che metterli lì dentro, «i cani che vengono trovati o segnalati alle associazioni, il più delle volte, vanno in stallo a casa dei volontari, in attesa di trovare famiglie disposte ad accoglierli». Oppure, di essere reimmessi sul territorio: «Col verbale di ritrovamento stilato dalla polizia municipale si può andare all’Asp veterinaria e richiedere la sterilizzazione. Quella, e l’inserimento del microchip, avvengono gratuitamente». Poi il cane torna per strada, incapace di riprodursi «ma pur sempre randagio».

[Foto di Laertes]

Luisa Santangelo

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