Canapa industriale a Gela, termina la sperimentazione Melfa: «Rimasti soli». Comune: «Faccia l’imprenditore»

«Gela è così, uno arriva con tanto entusiasmo e ti asciugano l’anima»: l’amarezza di David Melfa, l’imprenditore che aveva promesso di piantare un milione di piantine di canapa attorno ai terreni di Eni, è tanta. A luglio 2016 aveva avviato la coltivazione sperimentale della canapa industriale a Gela. Ora, a distanza di poco più di un anno, quell’entusiasmo si è dissolto. La cannabis doveva servire a bonificare i terreni attorno all’ex stabilimento petrolchimico. Col sogno di riuscire pure a entrare pure dentro il perimetro industriale. Il progetto era supportato dal Comune di Gela e dall’Università di Catania, nello specifico dal Dipartimento di Agricoltura, mentre il consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale (Asi) aveva messo a disposizione un proprio terreno. Invece Melfa rischia di ritrovarsi con poche foglie in mano. E l’elenco dei motivi del parziale insuccesso è lungo.

«La resa non è stata come mi aspettavo – confessa Melfa -. Noi abbiamo portato a termite tutto, la cannabis ha confermato le sue capacità fitodepurative così come la crescita senza acqua. Il costo è comunque irrisorio rispetto alle bonifiche classiche». E allora cos’è successo? Dopo i «tanti proclami e i tanti convegni» Melfa lamenta di essere stato lasciato solo. «Ho scritto all’Eni affinchè sposasse il nostro progetto – afferma – visto che l’azienda da tempo vuole impegnarsi nel settore delle biomasse e delle bioplastiche, che si sposano benissimo con la canapa, ma non ho avuto nessuna risposta. Il Comune non ci ha dato neanche il patrocinio e anche l’università se ne sta tirando fuori. Noi siamo andati avanti sulla parola: abbiamo arato il terreno, coltivato, fatto le analisi. Non c’è neanche un documento che attesti il passaggio del terreno a noi». 

Oltre il danno, poi, la beffa. Il terreno che doveva servire allo scopo ha riscontrato poi una perdita di idrocarburi. «L’intera piana è segnata da questo fenomeno – ammette sconsolato -. Volevamo vendere canapa e invece abbiamo trovato il petrolio, letteralmente». A ciò bisogna aggiungere gli altri problemi atavici che interessano l’agricoltura gelese: «dai pastori che sconfinano nei terreni di proprietà privata ai furti che abbiamo subito, persino da ragazzini convinti di aver di fronte la marjuana». Melfa poi se la prende con l’amministrazione Messinese: «Hanno fatto il gioco delle tre carte, quello che io chiamo il fare per non fare. Continuano a seguire la linea dell’Eni. Io a loro non chiedevo manco soldi, ma un patrocinio che insieme alla presenza dell’università avrebbe consentito di ottenere finanziamenti ad hoc». 

Una ricostruzione che viene in parte smentita dal vicesindaco e assessore allo Sviluppo Economico Simone Siciliano. «Noi continuiamo a sostenerlo – dice -. Chiaramente a noi non interessa solamente la sperimentazione in se ma la costruzione di una filiera agroindustriale, in cui passare dalla coltivazione all’applicazione scientifica. Melfa deve decidere se vuole fare il coltivatore o l’imprenditore, e nel secondo caso allora deve calcolare il rischio d’impresa. Insomma, i soldi li deve uscire anche lui, non può aspettarsi che li trovi il Comune. Recentemente abbiamo lanciato il bando jobs startup, ma Melfa non ha partecipato. D’altra parte al momento non ci ha nemmeno presentato un rapporto tecnico dei risultati ottenuti, nè una scheda progettuale su quello che vuole fare».

Così, mentre le responsabilità si rimpallano, rimane la delusione per un altro di quei progetti che doveva attenuare la dipendenza economica e sociale dal cane a sei zampe e che invece lentamente sembra spegnersi. Paolo Guarnaccia, docente dell’Università di Catania che «a titolo volontario» da anni si spende per la ripresa della piana di Gela, traccia alcune considerazioni. «Si tratta della piana più fertile d’Europa – spiega -. Il progetto della canapa industriale non è l’unico a non essere sbocciato del tutto, è avvenuta la stessa cosa con i progetti di ripresa del cotone e dei grani antichi. Il problema è che manca la pianificazione. A essere assente in questo caso è la politica: ci vuole un progetto, in cui poi si uniscono le competenze. E in questo caso l’università può essere un valido partner, ma non può essere l’unico soggetto sul quale fare affidamento. Non è neanche un discorso così nuovo, lo diceva già nel ’68 Danilo Dolci».

Andrea Turco

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