«Occorre smantellare i campi rom». Lo ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Subito rettificato da Piero Fassino, presidente dell’Associazione nazionale Comuni italiani: «Il governo si è fatto carico di predisporre un fondo apposito, sulla base del quale Comuni e prefetture metteranno in campo un programma di superamento dei campi a vantaggio di una soluzione più civile e più sicura dal punto di vista della legalità», è stata la precisazione. Ma la prospettiva di «superare» i campi, a Catania, sembra ancora lontana. Perché gli accampamenti di Zia Lisa e viale Kennedy, per dirne due, dove sono sempre stati restano. Ma con meno supporto: perché anche il Presidio leggero – una task force di associazioni voluta dall’amministrazione Stancanelli – ha smesso di operare ufficialmente dopo il passaggio dalla vecchia giunta a quella attuale, guidata dal sindaco Enzo Bianco.
«Ormai noi nei campi non ci andiamo più», spiega Gionatan Zingarino, della Società missionaria evangelica, una delle associazioni che in passato animavano il Presidio leggero. «Siamo passati dall’andare nelle baraccopoli al seguire le famiglie che si sono spostate. Ne seguiamo sette, otto che si sono trasferite in piccoli locali in via Barcellona», racconta Zingarino. Un totale di una cinquantina di persone, che sono passate da una residenza provvisoria all’altra. Prima il palazzo delle Poste, in viale Africa, sgomberato nel 2011. Poi, appena un anno dopo, il campo di Fontanarossa, dal quale sono stati mandati via nel 2012. Alla fine, l’accampamento di San Giuseppe La Rena, dalle parti del mercato ortofrutticolo, sotto al ponte dell supermercato Auchan. «Poi hanno occupato queste botteghe. Adesso, dopo un accordo con i proprietari, pagano un forfait a mo’ di affitto».
Una cinquantina di rom «integrati», compresi i bambini, che la Società missionaria evangelica è riuscita a seguire. Molti altri, invece, si sono persi e chissà che fine hanno fatto. O dove vivono. «Erano tanti quelli che vivevano in via Acquicella, in un vecchio capannone. Ma quell’insediamento è stato smantellato per via dell’eternit e di chi ci viveva non abbiamo più notizie». Come non si hanno notizie – tranne che raramente – dei rom che vivono alle spalle del Faro, nel parcheggio di un supermercato. O di quelli che restano nel mega campo di Zia Lisa. O in quello, meno grande, davanti ai lidi della playa. «Il 70 per cento dei rom che vivono a Catania hanno delle tradizioni piuttosto radicate – afferma Gionatan Zingarino – Loro sono le persone con le quali è più difficile dialogare. Anche se è iniziato un percorso».
«Il 30 per cento che rimane, invece, sono i rom per i quali il processo di trasferimento dal campo a soluzioni meno degradate è già iniziato. Per capire cosa ha causato questa accelerazione, basta vedere il livello di scolarizzazione dei bambini. Quando i ragazzini vanno a scuola si rendono conto di un modo diverso di intendere la quotidianità e spingono i genitori a un’integrazione più veloce, che ancora è lontana, però, dall’essere conclusa». Per questo, secondo Zingarino, sono le nuove generazioni quelle sulle quali bisogna puntare: «Non è facile cambiare la mentalità di un 50enne che ha sempre vissuto in un modo. È più semplice convincere un padre di famiglia a rendere felice suo figlio».
«Abbiamo alcuni progetti in campo, anche per vedere come sfruttare le risorse comunitarie», anticipa Angelo Villari, assessore ai Servizi sociali del Comune di Catania. «L’emergenza in corso è quella del campo di zia Lisa e stiamo valutando come risolverla – prosegue – Abbiamo il compito di garantire non solo la loro serenità ma anche aspetti igienico-sanitari che sono a rischio, quando ci sono comunità di questo tipo». «È un tema complicato, reso ancora più complesso dal fatto che queste persone vivono in un terreno privato – conclude l’assessore – Stiamo dialogando con la prefettura per capire come affrontare il problema».
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