Cammarata, ‘fuga’ dal dissesto finanziario

Per uscire di scena il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, ha scelto il peggiore dei modi possibili: la fuga. La fuga da una città che la sua amministrazione ha messo in ginocchio: la fuga da una realtà fatta di incredibili ‘buchi’ di bilancio: la fuga una un esercito di precari ‘stabilizzati’ nelle società partecipate dal Comune che, già nel marzo prossimo, saranno senza stipendi: la fuga da un Comune dove la spesa sociale è stata praticamente azzerata: la fuga da una Palermo con nuovi problemi, fino ad oggi ignorati, e vecchi mali, fino a qualche anno fa congiunturali, diventati strutturali. Un disastro con i piedi.
Cammarata, che, alla fine, ha sempre avuto il senso dell’umorismo, ieri, nel consegnarsi alla storia come uno dei peggiori sindaci di Palermo, ha detto: “Esco a testa alta…”. In questi casi, si sa, o ci si abbandona a reazioni cieche, o la si prende a ridere. Noi optiamo per la risata, perché l’ironia paga sempre di più della violenza che va sempre bandita. Anche quando la sfacciataggine – da parte di un uno pubblico – supera il limite di guardia.
Non aveva cominciato male, Cammarata. Intanto era stato eletto al primo turno, nel novembre del 2001, in condizioni quasi proibitive: battendo il candidato di centrosinistra e facendo mangiare la polvere a un altro candidato di centrodestra come lui, Ciccio Musotto, che avebbe voluto, quanto meno, costringerlo al ballottaggio.
Il programma di Camarata era raffazzonato almeno quanto Forza Italia made in Sicily di Gianfranco Miccichè. Leggendolo veniva da ridere, perché si capiva lontano un miglio che erano ‘cose’ messe lì alla rinfusa, all’ultimo minuto. Una delle poche cose serie che si intuiva da Cammarata appena eletto sindaco era il suo rapporto solido con quello che era già allora l’uomo forte di Gianfranco Miccichè: l’ingegnere Nino Bevilacqua.
In effetti, i primi anni di Cammarata sindaco non sono stati brutti. Lui non c’era mai – forse, in verità, non c’è mai stato – impegnato com’era tra barche, tennis, aperitivi e dopo cena ‘magici’, facendo, magari, le ore piccole. Può sembrare strano, ma fino a quando Cammarata si è dedicato, come dire?, agli aspetti meno spirituali dell’epicureismo, Palermo, bene o male, andava avanti. Dai primi mesi fino ai primi quattro anni – a parte i ‘Festini’ fallimentari (come quello fatto andare a male per sbarazzarsi dell’assessore alla Cultura, Bartolo Sammartino, troppo ‘rigido’ per un’amministrazione comunale che ha sempre considerato le attività culturali come un mezzo per favorire gli amici, ignorando del tutto la qualità delle manifestazioni) – l’amministrazione Cammarata, con la ‘regia’ di Bevilacqua, ha puntato molto sulle grandi infrastrutture. E va detto che l’opzione è risultata vincente, perché – ad esempio – il risanamento dell’area portuale della città è stato effettualo.
Oggi, a Palermo, la cosiddetta ‘Cala’ – il porto della città – è stato in parte risanato. Più da Bevilacqua, però, che dal sindaco di Palermo. A un certo punto, però, l’occhio ceruleo di Cammarata si è posato sul precariato. I lavoratori precari del capoluogo siciliano – questo va detto per onestà di cronaca – sono, per lo più, un’invenzione del predecessore di Cammarata, Leoluca Orlando. L’attuale sindaco dimissionario avrebbe potuto chiudere una partita, anche traumaticamente, interrompendo il vezzo di ‘coccolare’ il precariato cittadino. Per motivi che un giorno Cammarata spiegherà – e che, secondo noi, sono tutti interni al centrodestra siciliano, incapace di pensare a un vero sviluppo economico della Sicilia, ma sempre concentrato sul clientelismo alla stato puro – l’amministrazione comunale oggi dimissionaria, già a partire dal 2004, non solo si è caricata tutta l’eredità dei precari della stagione orlandiana 1993-2000, ma ha inventato altri precari. Una follia.
Tutta questa gente ha trovato posto nelle società create appositamente dallo stesso Comune di Palermo. Tutte rigorosamente società per azioni, per consentire di reperire il personale con la chiamata diretta da parte della politica. Infatti, con la scusa che si trattava di spa, cinque, sei, otto mila precari – non sappiamo, in realtà, il vero numero: nessuno lo sa: nessuno sa quanti precari ci sono alla Regione e nessuno sa quanti ce ne sono a Palermo – sono stati assunti direttamente dalle società collegate al Comune. Società finte, ovviamente, incapaci di camminare con le proprie gambe, che hanno operato – e continuano a operare – grazie alle commesse pubbliche.
Tutto questo è avvenuto sotto gli occhi ‘distratti’ delle tante autorità, che non hanno ritenuto di intervenire davanti a chi, di fatto, stava portando il Comune di Palermo al dissesto finanziario. Cammarata, fino all’anno scorso, ripeteva che il bilancio del Comune era “sano”. Dal suo punto di vista aveva ragione. A pagare i precari erano le società collegate che, però, prendevano i soldi dal Comune. Quali soldi?
Qui entra in scena un’altra delle grandi iatture che ha colpito l’Italia negli ultimi anni: il governo Berlusconi. Quel governo nazionale che ha ripetutamente negato al Sud e alla Sicilia i fondi ordinari dirottandoli al Centro Nord Italia, ha trovato normale, negli ultimi due anni e mezzo, foraggiare, non si è capito mai bene a che titolo, la giunta Cammarata con elargizioni a ‘babbo morto’. Una volta, da Roma, arrivavano 80 milioni di euro, un’altra volta poi 50 milioni di euro, poi 60, poi 40. Il governo Berlusconi sarà intervenuto quattro o cinque volte. Ufficialmente, per finanziare improbabli “investimenti” in altrettanto improbabili “infrastrutture”; in pratica, per pagare l’esercito di precari stabilizzato dalla politica con in testa il sindaco Cammarata.
Com’è noto, qualche mese fa Berlusconi si è dimesso. Il governo Monti, che deve risanare i conti dell’Italia, non può certo continuare a foraggiare il precariato di Palermo. Così a Cammarata non è rimasta che una via: la fuga. Lo ripetiamo: un giorno qualcuno ci dovrà spiegare perché Cammarata, nel 2004, ha puntato tutta la sua carriera di sindaco sui precari. Grossso modo, dal 2005 in poi Palermo è andata via via impoverendosi. Nel 2006, quando lo stesso Cammarata è stato rieletto sindaco, i segnali della crisi c’erano già tutti. Ma c’era ancora in piedi un blocco sociale – il centrodestra siciliano – che, benché ‘lesionato’ da indagini giudiziarie e divisioni interne, bene o male teneva. Da qui la sua rielezione, peraltro contestata, forse non a torto, da Leoluca Orlando.
Dal 2006 ad oggi Palermo ha cominciato lentamente ad andare indietro. Per mantenere l’esercito di precari il sindaco non ha esitato a prosciugare le risorse finanziarie destinate al sociale (cioè ai più bisognosi: poveri, anziani, portatori di handicap), lasciando in piedi solo le risorse per chi specula sulle stesse attività sociali.
Ha decurtato i fondi per i ‘Festini’, sono stati ridotti all’osso gli arredi per il Natale, sono del tutto scomparse le attività culturali, ad eccezione del Teatro Massimo che è rimasto aperto, pur tra mille peripezie, grazie ad Antonio Cognata (che, comunque, anche per le ristrettezze finanziarie, a parte l’Aida di Zeffirelli, ha assicurato edizioni di medio se non basso livello). Sono state azzerate – come già ricordato – le attività sociali. Mentre le strade della città, per cinque anni, sono state abbandonate. A un certo punto, per ‘risparmiare’, il sindaco ha deciso perfino di disfarsi di un ufficio stampa che, fino a quel momento, aveva assicurato al Comune un servizio di alto livello. Una decina di giornalisti sono così rimasti senza lavoro.
Ormai, come un drogato che insegue la sua razione giornaliera di droga, Cammarata pensava soltanto a reperire soldi per i precari. La sua ‘missione’, dal 2006 in poi, è stata questa. Un via vai da Roma a ‘caccia’ di soldi interrotto solo dalle partite di tennis, dalla bella vita e dalle gite in barca. Già, la barca.
La memoria ritorna al servizio di ‘Striscia la notizia’ che documentava come uno dei tanti precari di una delle tante società collegate al Comune, invece di lavorare dove avrebbe dovuto, si occupava della barca del sindaco. Su questa vicenda è ancora in corso il processo. Ma, al di là di tutto, non possiamo sorvolare sulla ‘leggerezza’ con la quale un sindaco si avventura lungo certi sentieri, forse con la solare e olimpica certezza che nessuno mai gli avrebbe chiesto conto e ragione di certi suoi ghiribizzi. Invece è finito davanti a un Tribunale.
In tutto questo ha trovato il tempo per rompere con il suo referente politico, Gianfranco Miccichè. Lo sfascio del centrodestra siciliano – in pratica la fine del blocco sociale rappresentato dallo stesso centrodestra – ha creato ulteriori problemi a Cammarata e, quindi, a Palermo. Abbiamo già ricordato gli ultimi due anni e mezzo trascorsi all’insegna della precarietà, sempre con il cappello in mano a chiedere soldi a Roma, ora con la mediazione del presidente del Senato, Renato Schifani, ora con un dialogo diretto con Berlusconi.
Quattro, cinque ‘inezioni’ di denaro pubblico – l’abbiamo già ricordato – servito solo a tamponare una gestione disastrosa e folle della finanza pubblica. Ieri, l’epilogo da film di Alberto Sordi: la ‘fuga’ dal Comune a “testa alta”.
Già tutti pensiamo alle elezioni comunali, previste per maggio. Ci interroghiamo su chi sarà il nuovo sindaco. Invece, tutti, ci dovremmo interrogare sul come potrà essere gestita Palermo da qui a maggio. In una città che, tra dipendenti comunali (oltre10 mila) e precari stabilizzati, ha più dipendenti della Regione siciliana, nessuno si chiede chi pagherà – non tra due anni, ma tra due mesi – il conto di questo sfascio amministrativo.
Dicono che la Regione invierà a Palermo un commissario straordinario. Che, probabilmente, non solo dovrà affrontare il dramma delle società collegate senza risorse finanziarie, ma dovrà anche andare a vedere i veri conti del Comune che, con tutta probabilità, non sono a posto. I prossimi tre mesi non saranno facili. Prepariamoci al peggio.

 

 

Giulio Ambrosetti

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