Caltagirone, la Rete civica per la cultura «Perché gli spazi non siano vuoti a perdere»

Un teatro comunale costruito al posto di un ex macello. Inaugurato ma mai aperto al pubblico. Spazi sotto utilizzati. Spazi abbandonati. Succede in diverse città d’Italia ma a denunciarlo questa volta sono i cittadini di Caltagirone. Riuniti nella Rete civica per la cultura e la socialità, un’iniziativa spontanea formata da singoli e associazioni della città calatina. La sua prima uscita pubblica è stata domenica 15 dicembre, con un titolo che riassume l’intero programma: Questo vuoto non è a perdere. Un modo per affrontare il tema degli spazi della socialità a Caltagirone, da restituire alla collettività per creare e fare cultura. Compagni di viaggio in questa richiesta sono anche la libreria itinerante Pianissimo – libri sulla strada e le ‘Ntuppatedde del gruppo di performer di strada Oscena urbana.

Per cominciare il proprio percorso di sensibilizzazione la Rete ha scelto proprio il piazzale davanti al teatro comunale Semini di Caltagirone. «Un luogo per noi emblematico, costruito due anni fa nel posto di quello che era un ex macello di questo quartiere che si trova ai margini della città e che è poco fornito di servizi – spiega il coordinatore Fabio Navarra – Quando è stato avviato il progetto, l’intento del Comune era quello di fornire al quartiere e alla città un luogo che avesse una funzione sociale e culturale, oltre che con la costruzione del teatro anche con la realizzazione di altri spazi che si trovano ai lati e alle spalle dell’edificio». Completati i lavori e inaugurato, il teatro è però rimasto chiuso e «non se n’è fatto niente – continua Navarra – perché l’amministrazione non ha pensato a quale modello di gestione adottare per questi luoghi, se in forma pubblica o privata, con consorzi di associazione». Un nodo non semplice da sciogliere, specie in una fase di crisi economica per i Comuni.

«L’attuale amministrazione ha pensato di mettere in affitto i locali con due bandi, uno per il teatro e l’altro per gli altri locali, al fine di realizzare attività commerciali, ma a questi bandi non si è presentata nessuna offerta». E mentre sembra che il Comune Calatino voglia ripetere l’esperimento, dalla Rete civica arriva la bocciatura a questa eventuale soluzione. «Si tratta di locali restaurati con fondi pubblici assegnati dalla comunità europea e non possono essere messi in affitto per altri usi, questa è una contraddizione – commenta il coordinatore – Una possibilità che l’amministrazione poteva considerare era quella di suggerire agli operatori sociali e culturali che operano nella città di unirsi in consorzi e provare a gestire questo spazio nonostante i limiti strutturali». Perché le difficoltà economiche non sono certo l’unico problema a cui far fronte. «L’edificio è stato costruito male rispetto alla sua funzionalità, ha dei difetti strutturali e, anche se qualcuno volesse offrirsi per la sua gestione, dovrebbe far fronte ad una serie di interventi che sono risultati sbagliati».

Ma il teatro Semini è solo uno dei tanti esempi. Sono diversi gli edifici abbandonati o sottoutilizzati a Caltagirone: il museo Fornace Hoffman all’ingresso nord della città, che ospitato da un’ex fabbrica di mattoni laterizi. Palazzo Libertini, di recente restaurato, che ha ospitato da luglio a settembre la mostra d’arte Dialogo con la ceramica: Picasso – Pan Lusheng. Quanto agli spazi all’aperto si pensi al pattinodromo, costruito tra gli anni ottanta e novanta, rimasto inutilizzato e oggetto di vandalismo. «Noi non ci proponiamo di gestire spazi, ma vogliamo sensibilizzare la collettività e le istituzioni affinché questi luoghi non siano vuoti a perdere, ma posti dove la gente possa incontrarsi i bambini, i ragazzi, gli adulti e gli anziani – spiega Navarra – Non abbiamo le soluzioni in tasca per risolvere un problema che ha una sua storicità perché legato a un modo di gestire la politica degli spazi a nostro avviso inadeguata». Un appello ai cittadini affinché tornino protagonisti, e alle istituzioni perché «è vero che non ci sono più risorse ma, se ci sono gli assessorati, sia gli assessori che il sindaco non possono solo allargare le braccia – spiega Navarra – Devono dare delle risposte soprattutto in un momento di crisi come questo. È necessario comunicare di più con la città».

Dello stesso avviso anche le moderne ‘Ntuppatedde. «Abbiamo sposato la causa della Rete civica perché siamo sempre alla ricerca di spazi per non rimanere fossilizzati nel nostro gruppetto e aprirci alla collettività, che per noi è la funzione del teatro», spiega Elena Rosa. Le ‘Ntuppatedde nascono a Catania con il gruppo Oscena urbana e riprendono una tradizione etnea viva fino alla metà dell’Ottocento durante la festa di Sant’Agata. Quando alcune donne, sposate e non, uscivano a volto coperto e si concedevano  la libertà di sfogare le loro fantasie. Come «entrare nei negozi per farsi regalare quello che volevano e corteggiare gli uomini», spiega Rosa. Una tradizione messa al bando per il divieto di girare per la città mascherati e adesso ripescata dalle performer. «A febbraio vestiamo un abito bianco e non nero come la tradizione vorrebbe – racconta Rosa – Ci copriamo solo con un velo andando in giro dietro le candelore e facendo festa. Un fiore rosso è il nostro simbolo che per noi è come una bacchetta magica per stuzzicare le persone».

Simona Romano

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