«Fa sempre freddo nel mio cuore, anche in piena estate». Ninni Noce, il padre di Stefania, affidava a Facebook i suoi ricordi sulla figlia. In una poesia pubblicata a fine luglio le prime lettere delle righe ne formavano il nome. Lui è morto ieri, a 51 anni, all’ospedale di Caltagirone. Nel primo pomeriggio di oggi la sua salma sarà traslata dall’obitorio del presidio sanitario al cimitero di Vizzini, dove sarà seppellito. Le sue condizioni di salute erano notevolmente peggiorate negli ultimi anni. A partire dal 27 dicembre 2011, quando Stefania – allora 24enne – è stata uccisa dal suo ex fidanzato, il 28enne Loris Gagliano, poi condannato all’ergastolo. «Non smetto di pensarti, non smetto di aspettarti», scriveva spesso Noce alla figlia.
Ninni Noce si definiva un anarchico. Lui e Rosetta Miano sono diventati genitori di Stefania molto giovani, a 21 anni. Un matrimonio poi finito, a seguito del quale madre e figlia si sono trasferite nella casa dei nonni materni, a Licodia Eubea. Due giorni dopo il Natale di cinque anni fa, in quell’abitazione sono morti la ragazza – studentessa di Lettere all’università di Catania – e il nonno Paolo Miano. Il 24 novembre 2014, a quasi tre anni dai fatti, la Corte d’Appello etnea ha confermato l’ergastolo che era stato inflitto in primo grado all’assassino. Dopo un lungo processo basato sulla presunta infermità mentale di Gagliano e su una battaglia di perizie e controperizie.
Nel corso del dibattimento, il padre di Stefania difficilmente mancava alle udienze. E le commentava spesso ad alta voce: diverse volte amici e familiari sono stati costretti ad accompagnarlo fuori dall’aula. Nel corso dell’ultima, quella a seguito della quale è stato confermato il carcere a vita per l’assassino di sua figlia, lui ha aspettato la lettura del dispositivo e si è precipitato fuori. Aspettando la madre e la nonna di Stefania sulle scale di piazza Verga. «Se lui mai uscirà di galera, io non lo so se la mia salute regge», affermava. «Tanto mia figlia non me la restituirà più nessuno», continuava.
Per Stefania aveva realizzato un documentario sul femminicidio assieme al regista Bibi Bozzato. «Un lavoro militante», lo aveva definito quest’ultimo. A parlare nel video era anche Ninni Noce, che raccontava sua figlia «fuori dai cliché». Era stato anche il padre, a cui era legatissima, a trasmettere a Stefania la passione per la politica. Lei, femminista e attivista, scriveva poesie. Giovanni Ninni Noce la definiva una pasionaria. Pochi giorni fa, il 4 settembre, era stato ancora il padre a ricordare della raccolta di viveri e beni di prima necessità che lei, ventenne, aveva organizzato per le vittime del terremoto in Abruzzo nel 2009. Un riferimento legato al sisma del Centro Italia e alla staffetta di solidarietà partita anche dalla Sicilia.
Negli ultimi mesi, in diverse occasioni aveva avuto problemi con la giustizia. Arrestato dai carabinieri di Vizzini, suo paese d’origine, era stato portato prima nel carcere di Caltagirone e poi in quello di Messina, con l’accusa di evasione dai domiciliari. Alla base della misura cautelare c’erano stati alcuni danneggiamenti avvenuti mentre, secondo gli investigatori, Ninni Noce era in stato di ebbrezza. Nel frattempo, però, le sue condizioni di salute si erano aggravate. E i ricoveri in ospedale erano diventati sempre più frequenti. Fino all’ultimo, tre giorni fa, al quale è seguito il coma e la corsa, inutile, nel reparto di Rianimazione.
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