Dicono che gli svizzeri siano puntuali, che i messicani amino fare la siesta e che gli argentini si divertano soprattutto a farsi i dispetti con gli inglesi. E se lo dicono, sarà vero: e infatti gli svizzeri sono fabbricanti di orologi, i messicani hanno inventato il sombrero e gli argentini, quanto a loro – pur di vantarsi d’aver fregato gli inglesi – hanno trasformato un furbesco gol di mano in una prova calcistica dell’esistenza di Dio. Un gol segnato, peraltro, mentre nei due Paesi era fresco il ricordo della lotta per quelle isolette che a Londra chiamavano Falkland, ma a Buenos Aires possono avere solo il nome di Malvinas.
Dev’esserci del vero, in questi stereotipi. Non capirei altrimenti come sia possibile che, di recente, un messicano di nome Jorge Vergara, già proprietario di un importante sodalizio calcistico di ascendenza azteca, abbia dapprima manifestato interesse per acquisire la proprietà del Catania; sia quindi comparso nelle indiscrezioni giornalistiche come sicuro acquirente del team; e solo tardivamente si sia riscosso dall’ottundimento dei sensi (dovuto, immagino, a una siesta un po’ troppo prolungata), per rendersi finalmente conto – e chi mai glielo avrà svelato? – che a Catania non avrebbe potuto tesserare giocatori messicani, e che pertanto l’acquisto del club non era più di suo interesse. Buonanotte.
Ma vogliamo parlare di argentini e inglesi? Pensate un attimo a Villar. Lo abbiamo atteso a lungo, da queste parti, come il facoltoso messia che ci avrebbe potuto trarre fuori dall’inferno. Ci siamo prematuramente compiaciuti del fatto che sembrasse disposto ad accollarsi non solo il titolo sportivo, ma perfino il centro di Torre del Grifo, idoneo – a quanto si diceva – impiantare il suo business nel campo della medicina. Senonché questa trattativa è tramontata, guarda caso, non appena ci si sono messi di mezzo gli inglesi. Perché il señor Villar, a quanto si è saputo, ha avuto l’infelice idea di affidare la gestione delle sue credenziali a un istituto bancario localizzato giustappunto nella perfida Albione. E pare sia stato proprio nel comunicare con quest’istituto – così, almeno, dice l’avvocato cui il Catania ha affidato la mediazione – che la trattativa si è irrimediabilmente arenata. Irrimediabilmente: perché, a dispetto dei mesi trascorsi, delle dichiarazioni a mezzo stampa e del rinnovarsi dei propositi di incontro e chiarimento, non si sa ancora se i riservatissimi britannici siano riusciti a spedire a Catania quel misero messaggio di posta elettronica (la famosissima Pec) che doveva certificare la buona salute finanziaria dei loro clienti argentini. Buonanotte anche a loro.
E va bene, da inglesi e argentini insieme forse non ci si può aspettare molto. Ma gli svizzeri, dico io, gli svizzeri? Quelli che nella vita non fanno altro che guardare l’ora per non sbagliare un appuntamento? Gli svizzeri, loro, sono stati i primi a comparire sul teatro delle trattative per l’acquisto del Catania. Hanno pazientemente atteso che lo studio legale catanese incaricato della delicatissima mediazione riaprisse, perché d’estate gli avvocati se n’erano giustamente andati in ferie. Poi si sono tirati indietro quando la società ha fatto sapere che non avrebbe mai venduto nulla se l’acquirente non si fosse accollato l’intero pacchetto azionario e, dunque, anche il pesantissimo mutuo di Torre del Grifo. E oggi, oggi che il Catania sembra finalmente tornato sui suoi passi – dichiarando con almeno sei mesi di ritardo che la società sarebbe bene venderla comunque, Torre del Grifo o non Torre del Grifo – adesso dove sono, i puntualissimi svizzeri a cui interessava, del Catania, solo il titolo sportivo? Possibile che, loro che non perdono un treno, abbiano lasciato passare proprio questo? Possibile che, nelle trattative con loro, offerta e domanda siano destinate e non incrociarsi mai? Che i concretissimi personaggi di questa vicenda debbano muoversi come i cavalieri nei castelli incantati di Ariosto, in cui nessuno trova mai quello che cerca e tutti trovano quello che non cercano? Che la nostra squadra debba proprio far la fine della bella di Siviglia, che tutti la vogliono ma poi nessuno se la piglia?
Di buono, comunque, c’è che il Catania si è salvato. Contro ogni aspettativa, e approfittando di un evento imprevedibile: e cioè del fatto che una squadra di serie C alla quale non importava più nulla del campionato – il Matera – non ha regalato la partita all’avversario di turno, il Catanzaro. Spedendo così quest’ultimo agli spareggi per non retrocedere, ai quali spareggi il Catania era da tutti accreditato come il maggior candidato.
Sorprese che incrinano per un momento, per un momento almeno, lo scetticismo con cui da troppo tempo guardiamo al calcio. Ma ci vuol altro per restituircelo, il calcio; per permettere di nuovo a questo gioco di regalare a Catania qualche briciola del suo incanto. Che in parte dipenderà pure anche dalla serie in cui si gioca. Ma che qui, ormai, dipende principalmente da altro.
Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum. E speriamo di non doverlo ripetere anche l’anno prossimo.
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