Bye Bye Japan, una band dall’impulso no wave «La musica è il nostro punto di congiunzione»

Amano definirsi «un’allegra Armata Brancaleone», la loro grinta è palpabile e viene fuori non solo dalle note prodotte dai loro strumenti, ma anche dalle parole e dai concetti stessi che questi quattro giovani, uniti da un’idea visionaria, tentano di trasmettere. Loro sono i Bye Bye Japan. «L’unico palermitano della band è Fabrizio – – spiegano -. Massimiliano è nato in Calabria e cresciuto in Ciociaria e Andrea è di Gela. Anche Valentina viene da Gela ma è cresciuta negli Stati Uniti, precisamente in Texas. Il gruppo comunque è nato a Palermo, è qui che viviamo e amiamo questa città».

Ad aver voluto fondare la band è stato Massimiliano Amoroso, il bassista, che aveva già vissuto parecchie esperienze sia in Italia che all’estero con suoi progetti precedenti. La stessa idea è stata poi condivisa da Fabrizio Mascali, chitarrista, Andrea Tascone, batterista e Valentina Cassarino, cantante. «Riguardo al nome – continuano i ragazzi – abbiamo preso spunto dalla suggestiva scena finale del film Lost in Traslation di Sofia Coppola: il saluto malinconico tra i due protagonisti che si separano in Giappone. Forse si rincontreranno da un’altra parte, o forse non si rivedranno mai più. Bob e Charlot sono due persone radicalmente diverse, per età e stile di vita, che si incontrano fortuitamente in circostanze insolite e riescono a capirsi perfettamente. Allo stesso modo noi siamo quattro persone molto diverse, per età, stili di vita e gusti. Ci siamo incontrati casualmente grazie alla musica e lì abbiamo trovato il nostro punto di congiunzione. La nostra musica, infatti, è il nostro Giappone».

Il loro motivo d’ispirazione maggiore, rispetto al genere suonato, sono i Velvet Underground e tutte le compagini di formazione no wave della scena newyorkese di fine anni ’80. Una sorta di continuo scontro ai vertici, perché la no wave si scagliava contro ciò che era mainstream in quel periodo, la new wave. Stilisticamente vi è un’attenta ricerca nei motivi ritmici, nelle percussioni: la spinta è quella del rock puro fino a quando però non si inseriscono elementi tipici del blues, del funky, del free jazz.

«Abbiamo ascoltato molto anche i Sonic Youth, il grunge e il post punk, con cui condividiamo buona parte del nostro imprinting – spiegano i Bye Bye Japan -. In generale pensiamo di vivere nello spazio che divide gli Yeah Yeah Yehas dai Dead Weather/Kills, buttando un occhio ai nostri fratelli The Joy Formidable. Cerchiamo di comunicare in modo sincero. Ciascuno di noi conduce una vita apparentemente anonima e grigia. In realtà ci sentiamo ricchi di concetti, abbiamo tante cose da dire e la musica ci offre questa possibilità. Vogliamo cantare la rabbia per un mondo che ci piace sempre meno, cercando di farlo con un approccio diverso che la solita retorica da rockettari. Sappiamo di essere degli outsiders, non per questo vogliamo rinunciare a intelligenza e capacità di analisi. Alla fine facciamo canzonette, ma perché non provare a metterci dentro qualcosa in più?».

La band ha da poco rilasciato un vinile in 45 giri contenente due brani. Il singolo Time To Do Something fa parte dello stesso, è stato scelto per la promozione e ne è stato creato anche un videoclip girato da Antonino Venezia. Affascinante l’utilizzo, ancora avvolto da passione, del supporto vinilico per la riproduzione sonora oggi, momento in cui la tecnologia ha scavalcato ogni limite possibile. «Il vinile è tornato di moda e anche noi non siamo riusciti a resistere al fascino del vintage. Ma c’è anche una questione più profonda. Il vinile è un bellissimo prodotto artigianale, sia nel contenuto che nella forma. Inoltre è un tipo di supporto che poco si presta a un ascolto random. Abbiamo optato per una tiratura limitata, che permettesse ai nostri amici di avere un bell’oggetto da collezionare, ma non ci aspettavamo un’accoglienza tale. In pratica abbiamo quasi finito i dischi prima ancora di partire per qualche data di promozione».

I Bye Bye Japan tentano con tutte le loro forze di restare una voce fuori dal coro, con la loro musica e attraverso scelte che talvolta vanno contr corrente. Vivono la Sicilia e Palermo con fervore saltellando da una realtà a un’altra e cercando sempre di non mollare il colpo. «Non sono mancate le occasioni in cui questa città ci ha aiutato in qualche modo a sviluppare il nostro lavoro. Al momento dobbiamo certamente qualcosa al Mob Palermo, al Creaking Wood Studio, a Ultrasuoni Studio, a Radio 102 e a poche altre persone. Durante questo mese abbiamo ripreso la nostra attività live con tante frecce nuove al nostro arco. In primis una collaborazione con il chitarrista Faber Gray che ci permetterà di continuare a suonare in giro ora che il nostro Fabrizio è diventato papà di una bellissima bimba ed è costretto dalle circostanze a restare fermo un giro».

Turi Messineo

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