Buccheri La Ferla, in scena i pazienti usciti dal coma «Riabilitazione sociale per riprendere in mano la vita»

«Per noi medici esula dall’attività lavorativa e diventa un momento di vita davvero importante». Sono le parole con cui la fisioterapista Adriana Di Gangi ha descritto il valore del lavoro teatrale che questa sera andrà in scena alle ore 21 nell’aula polifunzionale dell’ospedale Buccheri La Ferla. A debuttare con un riadattamento de Il diavolo e l’acqua santa saranno tredici pazienti usciti dal coma. «Quello di stasera è il terzo spettacolo dell’ambulatorio specifico per le gravi cerebrolesioni acquisite – spiega la dottoressa – Un lavoro di gruppo che ha come obiettivo da una parte quello di aiutare il reinserimento sociale di queste persone e dall’altro di continuare il lavoro riabilitativo». Il gruppo di attori, infatti, è guidato dalla dottoressa  Di Gangi e dalle colleghe Simona Fucile, neuropsicologa, e Maria Rosa Molene, logopedista. Mentre il responsabile dell’unità di riabilitazione che supervisiona e controlla tutte le attività è il dottore Giorgio Mandalà.

«Vogliamo ridare una valenza sociale a ciò che fanno queste persone, che faticano a riprendere le attività giornaliere», dice la dottoressa Di Gangi. Si tratta infatti di pazienti che, malgrado abbiano recuperato delle funzioni grazie alla riabilitazione individuale, hanno ancora delle lacune di tipo mnemonico o motorio. «In molti fanno fatica a reinserirsi nel gruppo di amici o altri ancora nell’attività lavorativa – prosegue – Questo progetto può fargli rivivere un’esperienza piacevole e di gruppo, in cui vengono fuori le loro performance nella scelta degli abiti, nel materiale da reperire, nella realizzazione delle scenografie: tutti aspetti di riabilitazione sociale». L’ambulatorio del Buccheri La Ferla esiste dal 2014 e ogni anno ha messo in scena uno spettacolo: il primo è stato Canto di Natale di Dickens, mentre l’anno dopo è stata la volta de La Giara di Pirandello.

«Questo è senz’altro il più impegnativo – torna a dire Di Gangi – Finora ci siamo cimentati in cose molto belle ma con copioni semplici e brevi, fatti da molti monologhi, dove la battuta poteva essere anche cambiata o scordata senza generare grossi intoppi. Oggi invece ci cimentiamo in uno spettacolo di un’ora e mezza con dialoghi e botte e risposte, quindi sarà una performance di maggiore entità». I copioni vengono reperiti su Internet, per poi essere riadattati alle esigenze e alle difficoltà dei singoli membri del cast. «I pazienti in un primo momento hanno paura di non farcela: imparare un copione a memoria li preoccupa molto, tutti in maniera diversa hanno problemi a memorizzare, quindi la difficoltà iniziale è questa – racconta – Poi ci sono quelli con disturbi del linguaggio o con disturbi motori, che devono anche lavorare per migliorare queste difficoltà. Ma poi alla fine è sempre un’esperienza che li entusiasma e gratifica».

Ma le gratificazioni sono anche per il team di medici che guida il progetto. «Questo spettacolo è la mia ragione di vita», è, ad esempio, una delle frasi che più spesso la dottoressa Di Gangi si è sentita dire. «Oppure – riprende – succedono cose meravigliose con pazienti che hanno problemi di memoria terribili, ma che appena tornano sul campo riescono a fare cose in cui prima non riuscivano più, ad esempio nella preparazione delle scenografie ricordare come miscelare i colori». Cose apparentemente semplici ma inaspettate, che hanno del miracolose. A promuovere l’idea della riabilitazione sociale di gruppo sono state proprio le dottoresse Fucile e Molene, ispirandosi ai laboratori di arte terapia realizzati nel resto del Paese. «Quello che facciamo è molto diverso dal setting della riabilitazione individuale, che è mirata e circoscritta alle sale di terapia e legata al rapporto con il terapista – conclude la dottoressa – Qui le persone possono sperimentare come confrontarsi con pazienti che hanno le stesse difficoltà, cimentarsi con attività di altro genere, in cui viene fuori l’aspetto ludico e dello stare insieme in un gruppo di teatro, e questo dà loro una spinta diversa».

Silvia Buffa

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