L’anta dell’armadio di casa trasformata in nascondiglio per la droga. L’espediente però è stato scoperto e Giuseppe Leanza è finito nuovamente in manette. A scovarlo sono stati i carabinieri della compagnia di Randazzo che adesso gli contestano il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. La marijuana, per un peso complessivo di 200 grami, era dentro una busta di plastica. Adesso Leanza, conosciuto nella zona con il nomignolo di Peppe a mafia, dovrà essere giudicato per direttissima.
L’uomo non è nuovo a problemi con le sostanze stupefacenti. Nel 2004 il suo nome finisce nel blitz dell’operazione antimafia Tunnel. I nomi che contano però sono altri. Come quello del boss Francesco Montagno Bozzone, ritenuto dagli inquirenti il capo della cosca dei Mazzei nel territorio dei Nebrodi, il fratello Mario e lo storico nemico Salvatore Catania, reggente nella zona per la famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano.
A Leanza i magistrati etnei contestano il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e per lui chiedono la condanna a sei anni e otto mesi. Il processo di primo grado si conclude con la pena di cinque anni e due mesi. Per la prima volta le forze dell’ordine ricostruiscono l’esistenza di una vera e propria cosca mafiosa attiva nei territori del Parco e nei Comuni di Bronte, Maletto, Randazzo e Cesarò.
In Appello però arriva il colpo di scena con l’annullamento del giudizio di primo grado perché le intercettazioni ambientali vengono ritenute inammissibili. Sul punto si esprime a distanza di 16 mesi la Cassazione che annulla tutto, facendo scattare nuovamente le manette.
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