«Ho scelto di parlare del lungo Ottocento, quello che si apre con la Rivoluzione in America e si chiude con la Prima Guerra Mondiale, e ho scelto di farlo con un saggio breve, perché volevo mettere in risalto come in questo “secolo lungo” si sono formate idee che abitano ancora nella nostra testa, quattro correnti politiche: liberalismo, democrazia, socialismo, nazione». Così lo storico Salvatore Lupo alla Pinacoteca Provinciale, nell’ex chiesa di San Michele Minore in piazza Manganelli a Catania, gremita per l’ennesimo incontro culturale promosso nel quadro di “Ottobre, Piovono libri”; tante persone, molte in piedi – soprattutto docenti e alcuni giovani ricercatori, pochi i ragazzi – venute per ascoltare la presentazione del saggio Il passato del nostro presente. Il lungo Ottocento 1776-1913 (Laterza 2010).
Si capisce subito che il professor Lupo, docente di Storia contemporanea alla facoltà di Lettere dell’Università di Palermo, a Catania ha radici. I colleghi Luciano Granozzi e Rosario Mangiameli ricordano brevemente la formazione comune e il periodo in cui Lupo ha insegnato ai Benedettini. L’incontro si sviluppa attraverso un denso scambio di battute e con un vertiginoso corredo di citazioni storiografiche. Mangiameli introduce spiegando il significato che gli storici attribuiscono a certe definizioni cronologiche: “il Novecento, secolo breve” (Hobsbawm), il “lungo Ottocento”, sottolineando l’influenza sulla sintesi proposta da Lupo di un “classico” come Il potere dell’ancien régime fino alla prima guerra mondiale (Arno Mayer). «La periodizzazione è la prima arma selettiva di uno storico, così come la cernita e la proporzione degli argomenti da trattare».
«È un libro a due facce – ha osservato Granozzi. – Da un lato si tratta di un possibile strumento didattico, un manuale condensato in meno di 200 pagine, dall’altro di un saggio interpretativo rivolto a un pubblico di lettori convinti, nonostante la marginalità in cui la storia è stata ultimamente relegata nell’opinione comune, che tocca alla storiografia dare una risposta alla domanda: “Come siamo diventati ciò che siamo?”. Da trent’anni a questa parte si è continuato a ripetere che “esiste soltanto l’individuo, la società non esiste”. In questo contesto culturale la storia perde il suo potere, rischia di non interessare più».
Lupo risponde a qualcuna delle provocazioni che gli sono state rivolte. Perché ha scelto un titolo “crociano”? E’ vero che non ha fatto i conti con la sua “educazione marxista” in modo sufficientemente esplicito?
«Il presente del nostro passato si propone di consegnare schemi interpretativi dei processi storici, ma non in senso crociano», precisa l’autore. «Dire che nella storia si possono rintracciare le spiegazioni di quello che siamo oggi, va bene per qualsiasi fase storica: il 1914, come il 1714, o il 1014, prima e dopo Cristo. Ciò che si evidenzia nel libro, ed è peculiare dello studio della storia contemporanea, è proprio “il senso di contemporaneità”». E aggiunge: «I miei conti col marxismo li ho fatti. Credo che il mio saggio contribuisca a spodestare molti luoghi comuni ancora persistenti nella vulgata scolastica: come l’idea di una “rivoluzione industriale” settecentesca, che non è mai esistita; o il ruolo di una lotta di classe della “borghesia” come molla della rivoluzione francese. La rivoluzione francese di cui parlo nel libro ricalca in pieno lo schema interpretativo di François Furet: la Grande Rivoluzione non fu il frutto di uno scontro di classe aristocrazia-borghesia, ma un radicale mutamento della politica, con l’affermazione degli ideali liberali e democratici». Le idee stesse, considerate invenzione della rivoluzione – democrazia, repubblica, uguaglianza – sono concetti antichi, ricorda Lupo. «La novità rivoluzionaria sta piuttosto nella loro rielaborazione attraverso il concetto dei diritti civili»; cosa che «dovremmo ricordare, proprio oggi, ai nostri governanti, quando vogliono insegnarci come vivere la nostra vita privata».
Uno degli assi della discussione è stata la considerazione del marxismo come previsione fallita, non tanto per la sua anticipazione della società socialista o comunista, che Marx in verità vagheggiava ma non teorizzò strettamente, quanto come profezia di uno sviluppo della società capitalista che nel corso del “lungo Ottocento” non si avverò. Moltissimi gli altri spunti di discussione. A proposito del totalitarismo, categoria così consolidata nella nostra percezione: «Forse questa prospettiva poteva andar bene negli anni Cinquanta del ‘900. Oggi non possiamo più dire che il ‘900 è stato dominato dal fenomeno del totalitarismo», asserisce Lupo. «L’idea forza del ‘secolo lungo’ è stata quella di libertà». Il fascismo, i totalitarismi furono un tentativo di risposta per arginare quel movimento di libertà. E i fenomeni che sono arrivati fino a noi? I “nuovi totalitarismi” di oggi fondati sulla manipolazione dell’opinione pubblica? «Sono tutti tentativi di contrapporsi al principio di libertà», risponde Lupo.
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