Boxeurs, in scena l’ultima fatica di Monica Felloni Nel segno del rosso c’è l’elogio dell’arte della vita

Cosa vuole dirci Monica Felloni, regista dell’associazione culturale Nèon, con il suo ultimo spettacolo? Forse niente, forse tutto. Niente perché le parole sono davvero poche in Boxeurs, in scena il 6 e il 7 ottobre al teatro del centro culturale Zō di Catania. Tutto perché, anche nell’assenza – o quasi – di parole, Felloni sa fare arrivare un messaggio. Boxeurs è «l’elogio della nobile arte. Non del pugilato. Della vita». Vita che erompe come una fiumana sul palco, si avvolge in un panno rosso e piomba chiuso a pugno sullo stomaco dello spettatore. E in quel pugno più di mille parole.

Sotto il segno del rosso si apre lo spettacolo. Rosso il lenzuolo che avvolge il primo pugile che entra in scena, rossi i caschetti da boxe che gli attori indossano come maschere di antico teatro. Dopo alcune considerazioni (non particolarmente pregnanti) sulla solitudine dell’uomo contemporaneo, sul palco esplode una festa, questa sì pregnante più che mai: guidati dai movimenti di danza e dalla mimica coinvolgente di Manuela Partanni, gli attori della compagnia Nèon scatenano il corpo in libertà. 

Sono una ventina, quasi tutti disabili, ma tutti bellissimi, forti, liberi, ai ritmi di una colonna sonora sempre cangiante dipingono col corpo la festa della vita, toccando tutte le note dell’esperienza umana, in una sequenza di quadri corali. Dalla buffa comicità delle canzonette italiane che dà l’attacco agli sketch di Francesca Sciatà, alla sensuale malinconia di un ballo su Non, je ne regrette rien, al vortice delle attrici che si rotolano per terra, con forza, alla violenza liberatoria del rock che spinge la sedia a rotelle di Angela Longo contro un muro di cartone rosso – il muro del pregiudizio – e lo abbatte. E infine il silenzio che accompagna le lacrime e la risata di Angela, la sua contraddizione. La contraddizione dell’uomo.

Perché ogni uomo è in bilico. Quando mancano le parole, sembra che dell’uomo non rimanga che un ammasso di arti, sembra che il dolore buchi la trama simbolica delle parole. Sembra. Ma non lo fa. Perché, quando inizia la musica, gli arti esplodono in movimento, in danza, i volti si contraggono in risata e pianto, fino allo spasmo, e ogni gesto diventa parola. Il corpo non è un ammasso di arti, il dolore trova un suo linguaggio, le sue parole. 

E gli ultimi si fanno primi, così: non parlando degli ultimi, ma da parte degli ultimi, e per tutti. Senza retorica, senza autoreferenzialità, senza paternalismo, ecco cosa vuole dirci Felloni. Perché «tutta la produzione Nèon si fonda sul principio di riconoscere, attraverso l’arte, attitudini e capacità di chi vive in condizioni di fragilità sociale, fisica e psichica», e la capacità degli attori di Nèon è parlare della vita. Boxeurs è uno spettacolo dei disabili non sulla disabilità, ma sull’uomo.

Andrea Tisano

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