Borsellino, via segreto da archivi Antimafia Salvatore a Morra: «Ridateci l’agenda rossa»

«In quella strage mio fratello è stato ridotto ad un tronco carbonizzato senza più le gambe e le braccia, i pezzi di quei ragazzi sono stati raccolti uno ad uno e messi in delle scatole per poi essere identificati, separati e racchiusi in delle bare troppo grandi per quello che restava di loro. Ora, a ventisette anni di distanza io non posso accettare che i pezzi di mio fratello, le parole che ha lasciate, i segreti di Stato che ancora pesano su quella strage vengano restituiti a me, ai suoi figli, all’Italia intera, uno ad uno». È ancora troppo forte la rabbia, mista a dolore, per la morte del fratello. Parole che Salvatore Borsellino affida a una lettera per declinare l’invito, da parte del presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra, in occasione della cerimonia per presentare la desecretate delle audizioni che riguardano proprio il giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia, assieme agli agenti della sua scorta il 19 luglio del 1992.

«Ho riflettuto a lungo e ho poi deciso di non sottrarre nemmeno un’ora a mia figlia che pur in attesa del suo primo figlio ha deciso di affrontare la fatica del volo per essere in questi giorni a Palermo, insieme a me, a lottare per la memoria di suo zio, Paolo Borsellino e dei cinque ragazzi uccisi insieme a lui», è l’incipit della mail spedita pochi minuti prima della conferenza stampa per illustrare a Palermo il programma delle iniziative in occasione del 27esimo anniversario della strage in via D’Amelio. Per leader del movimento Le agende rosse, infatti, non si tratterebbe esattamente di una desecretazione, ma «di rendere pubblici dei documenti che fino ad ora erano di difficile accessibilità perché conservati negli archivi della commissione». 

Il riferimento è alla decisione dell’organo parlamentare di togliere il segreto da tutti gli atti secretati dalle inchieste parlamentari dal 1962 al 2001, a cominciare dalle audizioni del giudice Borsellino. Una decisione importante, ma un po’ diversa da «quella desecretazione che aspettiamo da anni e che peraltro anche il ministro Bonafede aveva promesso in via D’Amelio e che non è mai arrivata» ha sottolineato ancora una volta Salvatore. «In quella strage mio fratello è stato ridotto ad un tronco carbonizzato senza più le gambe e le braccia – si legge ancora nella missiva -, i pezzi di quei ragazzi sono stati raccolti uno ad uno e messi in delle scatole per poi essere identificati, separati e racchiusi in delle bare troppo grandi per quello che restava di loro».

Ora, a ventisette anni di distanza «io non posso accettare che i pezzi di mio fratello, le parole che ha lasciato, i segreti di Stato che ancora pesano su quella strage vengano restituiti a me, ai suoi figli, all’Italia intera, ad uno ad uno. È necessario che ci venga restituito tutto, che vengano tolti i sigilli a tutti i vergognosi segreti di Stato ancora esistenti e non solo sulla strage di Via D’Amelio, ma su tutte le stragi di Stato che hanno marchiato a sangue il nostro paese».

Per il fratello del giudice dilaniato dell’esplosivo della mafia, è necessario che quella «agenda rossa che è stata sottratta da mani di funzionari di uno stato deviato e che giace negli archivi grondanti sangue di qualche inaccessibile palazzo di Stato e non certo nel covo di criminali mafiosi, venga restituita alla memoria collettiva, alla verità e la giustizia. Decine, se non centinaia di persone, nei meandri e nelle segrete di questo Stato, ne sono certo, conoscono dove viene occultata questa agenda, dove vengono occultate le ultime indagini, le ultime parole, gli ultimi pensieri di Paolo Borsellino».

La lettera, quindi, si conclude con un avvertimento: «Soltanto quando un rappresentante di questo Stato che ha lasciato crescere nel suo ventre un mostro capace di intavolare con l’antistato, con gli assassini di Giovanni Falcone, una scellerata trattativa e sull’altare di questa trattativa ha sacrificato la vita di Paolo Borsellino, si presenterà in ginocchio in Via D’Amelio a portare non ipocrite corone di alloro, simboli di morte, ma quell’agenda rossa, allora e soltanto allora potrò avere pace».

Antonio Mercurio

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