Se vi trovate nell’Agrigentino e vi sentite chiamare àpita, non state sicuramente ricevendo un complimento. Il termine, infatti, nel linguaggio vernacolare significa stupido ed è spesso associato ad altri epiteti più o meno coloriti. Quella che non tutti conoscono, invece, è l’etimologia della parola: assieme a spitu surdu è il modo che si usa in dialetto per chiamare l’eryx jaculus, ossia il boa delle sabbie, rettile notturno che appare stordito se si trova in superficie durante il giorno.
Da sempre presente nel territorio di Licata e nella vita quotidiana dei suoi abitanti, è scomparso per decenni dalle nomenclature ufficiali della comunità erpetologica: in una parola, estinto. Fino a quando, nell’aprile scorso, il signor Salvatore Russotto, imprenditore agricolo licatese e appassionato naturalista, decide di rivolgersi a Gianni Insacco, zoologo, paleontologo e curatore scientifico del Museo civico di storia naturale di Comiso per dare un’identità precisa e un nome scientifico al serpente comunemente, ed erroneamente, scambiato per vipera. Come succede anche in un servizio di una tv locale nel 2009: un giornalista improvvisa un pittoresco dialogo con il rettile per mostrare il degrado in una zona della città, non sapendo di avere a che fare con una specie introdotta in Sicilia durante le guerre puniche.
«Conoscevo l’animale da quando, bambino, correvo a piedi scalzi sull’erba – afferma Russotto – e anche mio nonno lo nominava spesso, ma mai con l’appellativo corretto. Così, dopo aver parlato con un amico allevatore che lo aveva riconosciuto e aver fatto alcune ricerche infruttuose sul web, ho deciso di chiamare in causa il dottor Insacco». Iniziano dunque le indagini della squadra di ricercatori formata anche da Filippo Spadola dell’Università veterinaria di Messina e Dino Scaravelli dell’Università di Bologna e finalmente, nello scorso dicembre, si arriva alla scoperta: l’equipe registra la presenza di sei esemplari, tre vivi e tre morti, del boa delle sabbie, stravolgendo di fatto il panorama erpetologico mondiale. «All’inizio – dichiara Gianni Insacco – ero incredulo: pensavo più a una introduzione occasionale e involontaria o a una confusione con altre varietà, come la coronella austriaca».
Ma lo studio, oggi pubblicato sulla rivista scientifica «Acta Herpetologica», finisce per confermare la presenza di una popolazione di eryx jaculus nel territorio adiacente alla foce del fiume Salso, grazie all’individuazione di esemplari di età e sesso diversi. «Abbiamo aperto un mondo – prosegue Insacco – a molti specialisti, i quali hanno intrapreso ricerche su vari animali introdotti in questo territorio nelle diverse epoche storiche». Adesso si attende l’analisi del dna, ma sembra quasi assodato che si tratti del boa delle sabbie, specie innocua diffusa soltanto nel sud dei Balcani, in Grecia, nell’Africa settentrionale e in Medio Oriente e ritenuta estinta nel nostro Paese.
«È possibile sostenere – continua il ricercatore – la concreta ipotesi che il serpente sia stato introdotto nell’isola dai Greci per motivi di culto o bellici. In ogni caso si tratta di una nuova popolazione per l’Italia. Per noi rappresenta la conferma di segnalazioni anche molto antiche o quotate, come quelle del Tokar, studioso teutonico che affrontava la questione già negli anni ’90». Sicuramente un altro successo per l’istituto di Comiso, dopo le scoperte dei resti fossili del più antico antenato dei granchi, del coccodrillo marino contemporaneo dei dinosauri e dei primi ittiosauri mai rinvenuti in Sicilia. Tutti ritrovamenti – è bene dirlo – realizzati a costo zero e in totale assenza di fondi o sovvenzioni pubbliche. Un lavoro nobile e silente, quello degli studiosi, come la vita del serpente proiettile, che gli antichi scagliavano sugli avversari durante le battaglie navali, e che poi approda sulla terraferma, accompagna la vita dei contadini licatesi e finisce addirittura in tv. Mentre tutti lo credevano scomparso.
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