Blonde Redhead: not so silently

Band straniere di una certa importanza come i Blonde Redhead non se ne vedono spesso a Catania. Anzi, non se ne vedono affatto. E dunque l’eccitazione e la frenesia pre-concerto è stata comprensibilmente alta per giorni. Se a questo aggiungiamo il fatto, non del tutto irrilevante, che al popolo indie catanese è stato chiesto di sborsare ben 23+1 euro per avere l’onore di vedere il gruppo americano, allora si capisce anche l’apprensione del “Avrò speso bene i miei soldi?!“.

La location è alquanto inusuale: si tratta infatti del Teatro Tenda Pegasos, rinomato per promuovere “ogni iniziativa a tutela delle persone lgbt (lesbo, gay, bisex e trans)“, ma che in passato fungeva anche da locale per serate dark/new wave. Incuriositi, si va in perlustrazione. Sono appena le 21.30, c’è Paolo Mei che passa dischi e la gente che ancora lentamente prende confidenza con il luogo, le luci, gli umori. Il posto è carino: il soffitto, per quanto sia possibile parlare di soffitto dentro una tenda, è scuro come cielo di notte senza stelle, al posto della luna una palla stroboscopica immobile luccica e tutt’intorno delle sfere bianche, sospese in aria come satelliti. L’orbita è un’impalcatura metallica, dentro la quale ne sta un’altra rettangolare più classicamente da circo. Le pareti sono coperte da carta da parati, di diverse fantasie e colori; qua e là aperture verso altri luoghi, alcuni accessibili (i bagni) altri no (i privé).

Verso le 23 fanno il loro ingresso i Blonde Redhead. Alle loro spalle una pesante tenda glitterata risponde a giochi di luce, colorando a tinte forti i nostri eroi. Simone prende rapidamente possesso della batteria, lo stesso fa Amedeo con la chitarra. E’ un fremito di gioia vedere Kazu che si siede alla tastiera proprio di fronte a noi. Immediatamente ne siamo rapiti. Indossa un minuscolo abito bianco, con intarsi di stoffa colorata cuciti di sopra. Ha parvenze umane ma è una bambola di finissima carta di riso; infiniti centimetri di pelle diafana scoperta sono l’involucro fragile che contiene a stento una ben più terrena energia rock che non tarda a manifestarsi.

Iniziano con i pezzi dell’ultimo album, 23: Top Ranking, Silently, Heroine, Dr. Strangeluv, canzoni che suonano incredibilmente fedeli alle versioni su disco. Il pubblico è attento, stregato dalle movenze ondeggianti di Kazu ma statico, come in attesa, trattiene il fiato. Quando la band newyorkese attacca con Melody of certain three quella cosa simile ad impacciata tensione che aleggiava palpabile finalmente s’incrina e s’allenta in movimenti meno contenuti e più rilassati. Amedeo canta Forget about tomorrow, ma ciò che non dimenticano i fans è piuttosto il passato, le vecchie canzoni, quelle più acide, quelle noise, a cui si dimostrano emotivamente e visibilmente più legati. Una svolta, quella del nuovo album, ancora non del tutto metabolizzata. Il trio allora sapientemente alterna brani nuovi con pezzi ripescati dai più stagionati Melody of Certain Damaged Lemons, Misery is a butterfly e In an expression of the inexpressible.

Kazu ha una presenza scenica indescrivibile, è un’immensa camelia che va e viene, ma i gemelli Pace non vivono certo di luce riflessa. Da tipiche creature da palco quali sono, si lasciano andare con generosità, suonando ad occhi chiusi, a volte e come trascinati dall’istinto, sempre. Danno un’immagine completamente diversa rispetto a quella trasmessa la mattina del giorno stesso, durante l’incontro con gli universitari catanesi e le testate giornalistiche studentesche all’auditorium Giancarlo De Carlo (ex Monastero dei Benedettini), durante il quale i fratelli Pace s’erano mostrati palesemente scocciati e poco inclini a parlare della loro musica. La musica non si spiega, si suona. E i due la suonano da maestri, senza sbavature. Gli anni di studi jazz e quelli più sporchi on the road con la band non collidono, anzi permettono loro di imbrigliare e possedere i suoni più diversi, conservando tuttavia una riconoscibilissima cifra Blonde Redhead. Ce ne rendiamo conto soprattutto durante il bis, quando i tre con disinvoltura scuotono gli animi suonando una 23 non particolarmente ispirata, sfondano le ultime resistenze dei diffidenti fan della prima ora con In particular, sicuramente la più attesa e trascinante, per poi sprofondarli in un vortice conturbante, ipnotico e una punta noioso con Melody, protratta ben oltre i 4 minuti e mezzo del disco.

Verso la fine, la Makino sembra stanca, meno presa dalle canzoni, distratta forse da un tipo su di giri davanti nel pubblico, che viene fatto ripetutamente rimbalzare verso dietro dalla security.

Circa un’ora e mezza dopo la nota iniziale, i Blonde Redhead lasciano la scena e vanno nei camerini. Ne riemergeranno alternandosi Amedeo e Kazu per fare qualche foto con i fans, ma veloci e inafferrabili come apparizioni.

Roberta Bellitto

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