Bimbo morto a Mascalucia, parlano gli addestratori «Educare non solo i cani ma anche i loro padroni»

Prima dei cani bisognerebbe istruire i loro proprietari. Ne sono convinti gli educatori, anche all’indomani dell’episodio di cronaca di Mascalucia dove in una villetta uno dei due doghi argentini di famiglia ha sbranato un bambino di 18 mesi. La vicenda – che ha portato alla morte del piccolo e all’iscrizione della madre nel registro degli indagati per omicidio colposo – accende i riflettori sul ruolo dell’addestramento comportamentale del cane domestico, sulle responsabilità dei padroni e sulla necessità di percorsi formativi condivisi. Temi e attività di cui si occupano strutture specifiche: una decina nella provincia etnea, la maggior parte delle quali a Catania. Secondo i professionisti la clientela è cambiata molto negli ultimi anni, così come la consapevolezza di chi prende un cane di conoscerne il carattere e formarlo per la vita in casa. A pesare i fatti di cronaca che raccontano di aggressioni. 

«Avere un cane non significa solo vaccinarlo e dargli da mangiare ma conoscerlo e quindi educarlo: per fortuna, soprattutto negli ultimi cinque anni, la gente sta iniziando a capirlo», spiega Emanuele Catera, addestratore catanese dell’Ente nazionale della cinofilia italiana. Il professionista ha una scuola nel capoluogo dove addestra gli animali da trent’anni. Per lui il cane «è pur sempre una bestia con istinti e carattere, e per evitare problemi domestici bisogna dargli delle regole». Per farlo è necessario che «venga portato in un centro educativo dopo la fine del primo piano vaccinale, più o meno all’età di tre mesi: è in quel momento che il cane può essere formato, poi diventa troppo tardi». Nonostante ciò non mancano i casi di proprietari che portano gli animali nel centro «solo dopo che hanno mostrato qualche comportamento particolarmente aggressivo e violento, e magari sono già adulti», precisa Catera. 

In quelle circostanze, il padrone – che secondo la legge ha la responsabilità civile e penale di eventuali danni commessi dall’animale nei confronti di cose o persone – sarebbe obbligato a iscriverlo nella cosiddetta lista di cani impegnativi, registrarlo all’Asp locale e conseguire un apposito patentino per la sua detenzione. Un percorso obbligato, a differenza invece del programma basilare e facoltativo che i centri offrono ai proprietari. In quei corsi padrone e cane «imparano a parlare la stessa lingua e quali sono le norme del rispetto reciproco». Appuntamenti ai quali «partecipano i componenti del nucleo familiare perché – fa un esempio – i bambini devono capire che quando il cane mangia non lo devono disturbare, che non gli devono tirare la coda e che devono rispettare i suoi spazi». 

«A questi percorsi sarebbe buona regola che partecipassero tutti i cani, indipendentemente dal carattere o dalla taglia», aggiunge Stella Cinino, che lavora in un centro di Misterbianco. «Il padrone deve comprendere il rischio di un eventuale morso. Cioè – precisa – c’è differenza se una persona viene attaccata da uno yorkshire o da un dogo argentino e non perché uno e buono e l’altro cattivo ma perché uno può fare più male e l’altro meno». A incidere sull’eventuale pericolosità di un cane, al di là della sua formazione, è pure il trattamento che gli riserva il proprietario. «Se si tiene l’animale in gabbia nel giardino o legato a un albero, la bestia si sentirà prigioniera e non riuscirà a rapportarsi con le persone, sviluppando atteggiamenti violenti», continua Cinino. 

«Mi è capitato di rimproverare genitori che assistevano tranquilli a scene assurde come – racconta – quando una bambina ha stretto il collo di un dobermann. I genitori hanno detto che tanto l’animale avrebbe capito il gioco ma – conclude – se il cane non educato non si sente rispettato e anzi crede di essere minacciato può fare due cose: attaccare o scappare». «Non ci sono razze che ne necessitano più di altre di educazione, è come con le persone», aggiunge Francesco Pavone, un educatore di Valverde. Anche nella sua dog school arrivano famiglie con bambini e cani. Tra questi molto frequenti sono i meticci (circa il 30 per cento), i pitbull, i doghi argentini, bulldog, dobermann e labrador. Mentre i corsi di educazione base durano in media due mesi e mezzo e costano all’incirca 300 euro. «È un investimento, oltre che una questione di cultura: il cane ha un ruolo sociale e l’uomo deve fare ciò che serve per renderlo sicuro per sé e per gli altri e felice», conclude Cinino. 

Cassandra Di Giacomo

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